Riforma della prescrizione, è qui che cade il governo?

di Redazione. Sulla riforma della prescrizione si gioca il futuro non solo del “buon processo”, ma pure quello del governo gialloRosso. La riforma di Bonafede – caldeggiata dai 5stelle e invece osteggiata dalla sinistra oltre che naturalmente dal centrodestra – prevede lo stop della prescrizione sia dopo la sentenza di assoluzione che di condanna e si applica ai reati commessi a partire dal 1° gennaio 2020, data in cui la legge è entrata in vigore.

Molti i punti controversi che dividono il mondo della politica e anche quello degli studiosi e degli esperti di diritto.

La maggioranza resta divisa sul testo e si sta ancora lavorando su una soluzione di compromesso e si pensa allo stop della prescrizione solamente dopo le sentenze di condanna e non anche dopo quelle di assoluzione.

PD, Italia Viva e moltissimi magistrati e avvocati italiani ritengono che la riforma di Bonafede non solo sarebbe inutile ma che addirittura abbia dei profili di incostituzionalità, dal momento che:

– non riduce i tempi troppo lunghi delle indagine dei pm (causa principale dell’eccessiva durata dei tempi della giustizia);

– rende eterni i processi successivi a quello di primo grado.

In altre parole, quella che per alcuni è una garanzia di punibilità, per altri è un tentativo maldestro con notevoli conseguenze sul piano pratico che rischia di creare dei processi senza fine.

Prescrizione, come era prima e come è adesso. Secondo la vecchia disciplina la prescrizione dei reati inizia a decorrere dal giorno in cui il fatto è stato commesso e non si blocca quando il giudice o il pm emettono i provvedimenti per assicurare il reo alla giustizia, cosa che invece accade ai termini di prescrizione in ambito civile.

La riforma Bonafede, invece, introduce lo stop della decorrenza anche nel penale.

La riforma va a modificare l’articolo 159, comma 2, del Codice penale, che adesso recita: “Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna.”

Cambia il momento della decorrenza della prescrizione, ma non il quantum. Per i reati consumati il termine prescrizionale continua a decorrere “dal giorno della consumazione” mentre per i reati tentati “dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole”.

Invece, cambiano le regole per il reato “continuato” (più azioni ed omissioni compiute dalla stessa persona in esecuzione di un disegno criminoso) in questo caso la prescrizione inizierà a decorrere dal giorno in cui è cessata la continuazione, mentre prima decorreva dal giorno in cui si esauriva la singola condotta illecita.

Naturalmente sugli effetti della riforma possiamo parlare solo in termini probabilistici ed eventuali, dal momento che troverà applicazione solo per i reati commessi dopo la sua entrata in vigore, e si stima che ne vedremo gli effetti concreti solo tra tre o quattro anni. Ma le prospettive non sono affatto positive.

Il blocco della prescrizione non basterà ad assicurare il legittimo andamento della giustizia e a salvare quanto stabilito in primo grado. Occorrerebbe anche rafforzare i riti alternativi, depenalizzare molti reati ed aumentare le risorse.

Si stima che lo stop della prescrizione metterà seriamente a rischio l’efficienza di molti uffici giudiziari, i quali si troveranno ad avere circa 30 mila procedimenti in più ogni anno, e l’esito ovviamente sarà ancor più pesante sulle Corti oberate da un maggior numero di prescrizioni, con l’alta possibilità che anche i tempi dei processi ne risulterebbero allungati.

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