di Clemente Luciano. Aveva la SLA. E’ morto a 71 anni. Ma Pietro Anastasi rimarrà sempre nel cuore e nella memoria di noi, tifosi della Juventus. In tanti anni di giocatori ne son passati molti alla Juve. E anche più bravi di Anastasi. Ma è Anastasi, e altri giocatori (e uomini) come lui che si faranno sempre ricordare.
Anastasi si farà ricordare per quella sua dedizione alla maglia, per quel suo giocare d’istinto come era il suo carattere, per quella generosità (in campo e fuori) per quei sentimenti forti che s’era portato dietro dal profondo Sud, dalla sua Sicilia, dalla sua Catania, dov’era nato.
Proprio nel Catania cominciò a giocare. Ed era bravo “Petruzzu” (come lo chiamavano i tifosi ) a giocare a pallone. Di quel ragazzo del profondo Sud d’Italia se ne accorsero i grandi club del Nord che subito lo chiamarono. E lui, come tanti altri “ragazzi del Sud” prima di lui avevano fatto, se ne andò verso quelle terre e chissà come sarebbe andata.
Come di nuovo corrotti e sporchi sono questi nostri attuali tempi italiani, fatti di banche ladre di speranze e aspettative di povera gente, di una politica analfabeta, sguaiata sui social ma incurante dei problemi veri di un Paese privo di crescita e ogni giorno sempre più allo sbando, perché la povertà non si abolisce per decreto, e con una società nella quale è tornato il razzismo, la discriminazione e il rancore verso l’altro e il diverso perchè troppo grande è la paura.
Sì, gli abbiamo voluto bene davvero noi juventini, a Pietro Anastasi. Gente come lui univa il Nord con il Sud, faceva dimenticare la disumanità della fabbrica, la discriminazione verso i meridionali, ai quali non si affittavano le case, e regalava sogni e speranze anche agli emigrati che cercavano un futuro diverso e felice per i propri figli che sì, di sicuro ce l’avrebbero fatta come ce l’aveva fatta lui, “Pietruzzu”, quel ragazzo del Sud, quel ragazzo di Catania.
Ma quella era anche un’altra Italia. Una Nazione del tutto diversa. Che ancora s’appassionava, gioiva, tifava, credeva in un calcio e un ciclismo e un’atletica leggera pulite, vere, coinvolgenti, fatte di emozioni vere e sincere.
E anche negli altri sport c’erano ragazzi come quelli capaci di unirci tutti, in un unico sentimento nazionale. Come Felice Gimondi nel ciclismo, ad esempio.O Pietro Mennea e Sara Simeoni in atletica leggera, e nel nuoto Novella Calligaris: tutti ragazzi che conoscevano solo le parole sudore e sacrifici,niente sponsor sulle maglie e procuratori già a 17 anni.
Bianconero lui, bianconeri noi, allora tifosi bambini. Non amò mai ribalta o riflettori fuori dal rettangolo di gioco. L’umiltà è stata la cifra di quel carattere schivo. E forse è anche per questo che lo amavamo di più. Per questo adesso il dolore per la sua scomparsa l’avvertiamo tutto. Noi che ci siamo identificati in lui sin da quando calciavamo palloni di cuoio nei campetti polverosi della sperduta periferia di un’Italia e di un calcio ancora autentico.
Perchè a Pietro Anastasi gli abbiamo voluto bene. Bene davvero.