Perché l’Emilia Romagna non è una partita nazionale. di Elisabetta Gualmini

di Elisabetta Gualmini. Le prossime elezioni in Emilia-Romagna sono ormai diventata l’argomento principale di ogni talk show o articolo di giornale. Un Twitter top trend. Ma davvero il voto in Emilia-Romagna ha una valenza cosi fortemente nazionale? Tradotto: se il centro-sinistra perde in Emilia-Romagna vuoi vedere che cade il governo?

La risposta è no. Le elezioni in Emilia-Romagna sono una partita squisitamente regionale, come sempre sono state; ci sono due candidati, Stefano Bonaccini e Lucia Borgonzoni che si battono per poter governare dal 17° piano di via Aldo Moro e non per prendere la Bastiglia e calare su Palazzo Chigi.

Sono tre i fattori locali che conteranno. La forza dei candidati; la capacità di amministrare; i valori sottesi alla battaglia tra partiti.

Primo. Stefano Bonaccini è un candidato autorevole, che gode di un gradimento più alto (come dicono i sondaggi) di Lucia Borgonzoni. Lo è perché ha governato bene per 5 anni, ha tenuto insieme una giunta coesa, ha puntato su lavoro, competitività e welfare che sono ancora ricette intramontabili per tenere insieme una comunità. Ma soprattutto, senza troppi voli pindarici e con la concretezza tipica dell’emiliano di Modena, Bonaccini ha visitato palmo a palmo ogni centimetro del territorio regionale, incontrando sindaci, amministratori, associazioni, imprenditori, cittadini, risolvendo grane e snocciolando proposte di fronte a sequenze complesse di problemi.

Lucia Borgonzoni ha dalla sua il fatto di essere una giovane donna, coraggiosa e molto determinata, da sempre presente nelle Tv nazionali, e capace di mandare al ballottaggio il sindaco della rossa Bologna alle scorse elezioni. Ha tuttavia anche due svantaggi; viene percepita come figura poco radicata nel contesto regionale ed è una fedelissima del Capitano, che di per sé sarebbe anche positivo, se non fosse che ne è costantemente oscurata. Dove c’è lei c’è Salvini. O meglio, dove c’è Salvini c’è anche lei. I contenuti politici di Borgonzoni sono sempre un rinvio a questioni nazionali, dalla sicurezza ai migranti, dai furti e le rapine ai Rom, con qualche iniezione di agricoltura (ma lì è l’Europa che conta) e di Bibbiano. I toni sono radicali, aggressivi e duri quanto basta, e quindi lontani dall’attrarre l’elettorato moderato.

Secondo. Un argomento interessante della Lega è che i buoni indicatori della regione non dipendono dalla capacità di amministrazione del PD, bensì ci sono nonostante il Pd. Le energie e la forza degli imprenditori, dell’associazionismo e dei cittadini emiliano-romagnoli fanno il miracolo, dice Borgonzoni, e non certo un partito politico. Purtroppo, per chi ha un minimo di padronanza delle leve del governo e dell’amministrazione, questo è valido fino a un certo punto. E’ la politica che fissa le priorità in agenda, è la politica che decide dove e per chi allocare le risorse, è la politica che deve essere forte e spregiudicata abbastanza per dirigere e modellare la macchina amministrativa in modo da non farsi piegare o cannibalizzare da quest’ultima. Se in Emilia-Romagna si è deciso di creare dal nulla un Fondo per la non autosufficienza che è il doppio di quello nazionale (quasi 500 milioni contro poco più di 200) e di tenerlo in piedi, nonostante crisi e recessioni, è perché imprese, sindacati, associazioni hanno deciso di allocare le risorse sui servizi alle persone piuttosto che puntare sull’autoimprenditorialità di ognuno di noi.

Infine, i valori. Nella politica post-ideologica dei nostri tempi conta ancora la divisione tra destra e sinistra? La differenza tra chi inneggia a una società chiusa e chi crede che solo da una società aperta e inclusiva si dirami l’innovazione e lo sviluppo? Il tessuto cittadino dell’Emilia-Romagna è intriso di valori e di ideali consolidati. Il record di associazioni del terzo settore; le decine di migliaia di volontari che si danno da fare per tenere dentro tutti; la voglia di partecipare alla vita della comunità, non sono cose che si cancellano con un tratto di penna e che mal si conciliano con la cultura regressiva e oscurantista che ha in mente Salvini. Si vedrà. Ma sono propensa a credere che il 26 gennaio gli emiliano-romagnoli vadano al seggio con in testa una cosa precisa: l’Emilia-Romagna.

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