di Luca Anedda. La terza carica dello Stato americano ha dunque fatto ciò che si era messa in testa di fare: è andata in forma ufficiale a Taiwan. Contro Pechino e, a quanto sembra, contro il parere stesso del Dipartimento della Difesa americano e dello stesso Joe Biden.
Cinese. Nei prossimi giorni si potrà capire meglio quali effetti queste sanzioni avranno sulle economie di Taiwan, dei Paesi della regione e nel resto del mondo.
modo ad aumentare la sicurezza di Taiwan? Le relazioni tra USA e Cina sono in qualche modo migliorate? Se la risposta è no (come tutto sembra indicare) cosa ha spinto una ottantaduenne signora a compiere un passo così controverso?
Sono sufficienti le questioni che la “Speaker” Pelosi ha citato quali solidarietà al popolo di Taiwan e la difesa dei diritti Umani? Ed anche su questo fronte la sua visita quali concreti risultati ha prodotto? È possibile che in momenti di tensioni internazionali così elevati vi possano essere azioni compiute da alti rappresentati dei Governi che mettano a repentaglio la sicurezza e la pace di così tante persone?
Questa visita è stata definita: “non necessaria, arbitraria e sconsiderata. Come se qualche alto rappresentante messicano si recasse in Texas ed annunciasse il proponimento di riportare il “Lone Star State” di nuovo sotto la giurisdizione messicana. Follia.
Lavorare per la pace è più faticoso che assumere un atteggiamento da cow boy, in questo caso da cow girl, dove la sfida all’OK Corrall è il punto di arrivo.
Xi Jinping in risposta ha, anche per motivi di propaganda interna, reagito con una serie di pesanti misure, ma non si è ancora messo nella postura tanto cara a Sergio Leone, quando i due pistoleri si sfidavano all’ultimo sangue. Il duello non avverrà ancora. Ma in una cosa la visita della Pelosi è riuscita: adesso per bocca di Xi Jimping sappiamo che entro il 2049, Taiwan sarà sotto il completo controllo della Cina “Mainland”.
E dunque è giustificato e doveroso porsi la domanda se chi ci governa sappia realmente cosa sia necessario fare per aumentare il bene comune o almeno, per evitare di sprofondare in situazioni di precarietà, carestia, crisi energetica, inflazione, perdita di lavoro e chiusura di attività lavorative. In Europa questa domanda è all’ordine del giorno. In una situazione nella quale le parole “mediazione”, “trattativa”, “riapertura del dialogo”, sono state cancellate dal vocabolario ci avviamo verso un inverno molto incerto. E si badi bene che qui non si parla di resilienza dei popoli.
Gli Europei hanno dimostrato di saper sopravvivere a catastrofi come, due guerre mondiali, il Fascismo, il Nazismo, crisi economiche, terrorismo; se è necessario il popolo è temprato a sopportare qualunque cosa con coraggio e fino alla fine. Il coraggio non è mai venuto meno. Ma deve esserci una causa una motivazione e non una mancanza di strategia, un bieco calcolo geopolitico o peggio ancora la incapacità di prevedere quali conseguenze certi comportamenti possono generare. Sentire come i capi delle diplomazie europee, cioè proprio coloro deputati al mantenimento dei contatti e delle relazioni tra Stati, si sono espressi il giorno dopo l’invasione Russa lascia piuttosto perplessi.
Si può coniugare un indispensabile e incontrovertibile “Atlantismo” europeo con una saggia politica di dialogo e di mediazione? Oppure per “Atlantismo” si intende solo seguire a testa bassa quanto lo Zio Sam propone? Dobbiamo seguire la Pelosi oppure possiamo prenderne le distanze in nome di una proposta più saggia?
E ancora; siamo veramente sicuri che la reazione Europea alla invasione russa, non sia stata più precipitosamente dettata dalla necessità di mostrarsi uniti sotto la bandiera europea che non da una più attenta e flessibile risposta che avrebbe potuto lasciare aperte le porte delle trattative? Oggi osserviamo che l’unico interlocutore di Putin è il turco Erdogan. Dove sono finiti i nostri leader?