«Esso rimanda ai diversi significati che si intrecciano all’interno delle pagine della raccolta. Evoca il processo creativo del verso che vuole presentare la nuda verità delle emozioni non nascondendo al lettore né ferite né cicatrici, né gioie né dolori: polverizzare, unire e creare frammenti emozionali a testimonianza delle personali esperienze e riflessioni su diverse tematiche (amore, morte, disillusione, guerra, pregiudizi, malattia)».
E mortaio è la parola che unisce, con un legame invisibile ma indissolubile, i versi della silloge.
«La “dicotomia” del termine – spiega l’autrice, nata a Rieti nel 1979, specializzata in Conservazione e tutela del patrimonio culturale e storico artistico – è simbolo del processo di unione e trasformazione di emozioni e sentimenti che si offrono al lettore con sincerità. Se il mortaio spara proiettili ad alta arcata su bersagli situati al di là di ostacoli, la poesia sfida credenze preconcette e smaschera la falsità. Per questo, accanto a tematiche esistenzialiste, nella raccolta trovano spazio riflessioni sulla guerra e la giustizia».
Dalla natura e dalle esperienze personali e reali scaturiscono emozioni e stati d’animo impressi su un foglio bianco affinché diventino indelebili e condivisibili. Come dice Daniela «la china serve a comunicare e ha come canale l’intimità del genere letterario scelto».
La poetessa non smette di cercare se stessa e la verità, una vita autentica in una società sempre più camuffata e stereotipata, e lo fa donandosi alla natura e all’amore, ma accettando anche le sofferenze, attraversandole per poter ricominciare senza rimanerne intrappolata. E’ questo il volto di Daniela. Ed è questo che vuole trasmettere. Il suo volto… il volto dell’altro.