di Gerardo Lisco. Commenti, articoli e saggi che parlano continuamente dell’imminente morte dell’Unione Europea riempiono un numero imprecisato di pagine al punto diventare noiosi al solo leggerne il titolo. In rete la morte dell’U.E. alimenta il dibattito.
Il punto è che per quante volte se ne è annunciata la morte a quest’ora almeno un medico l’avrebbe dovuta certificare. Invece no! L’Unione Europea pur mostrando i suoi limiti e le sue contraddizioni continua ad essere lo spazio economico e politico dove la governance di parte del Continente europeo trova sempre modo di ricomporsi e di mediare i conflitti.
La domanda è, perché ciò accade? Perché dopo le crisi finanziarie del 2007-08 e del 2012, le rivendicazioni nazional-liberiste in crescita in molti dei Paesi dell’UE, la Brexit, i conflitti in Africa e nel Medio Oriente, la crisi migratoria, ecc. l’Unione Europea continua a vivere?
La crisi sanitaria dovuta al COVID-19 ancora una volta ha messo in evidenza il modello di governance dell’UE e ancora una volta, a partire dalla riunione dell’Eurogruppo del 16 marzo, l’UE, visti i precedenti, riuscirà a trovare un punto di incontro e di mediazione.
La ragione è da ricercare nelle modalità che hanno portato alla costruzione dell’U.E.
La costruzione dell’UE è sin dalle origini un processo che vede i Governi nazionali, la burocrazia UE, BCE, stakholder nazionali e sovranazionali negoziare continuamente le regole tenendo ben presenti i rapporti di forza e l’ideologia di fondo che la ispira e cioè l’ordoliberalismo.
L’U.E. sarebbe sicuramente morta se, invece, si fosse dotata di istituzioni più rigide, tali da non consentire la mediazione tra gli interessi in gioco.
Perfino i vincoli monetari, previsti con la nascita della moneta unica e del ruolo della BCE come strumento mirante al controllo dell’inflazione e quindi alla stabilità monetaria, alla fine si sono rivelati meno rigidi di come appaiono. Che sia così lo prova la gestione della politica monetaria condotta da Draghi, la retromarcia fatta dalla Lagarde in merito alle dichiarazioni sui compiti della BCE e il ruolo che essa deve svolgere di fronte alla crisi in corso. Di fronte alla presa di posizione del Governo e alla nota del Presidente della Repubblica ha immediatamente fatto retromarcia.
La flessibilità dell’U.E. è tale che, di fronte a crisi come quella sanitaria, ad ogni Stato è consentito operare autonomamente e questo in apparente contraddizione con l’intenzione, almeno sul piano ideologico, di ciò che dovrebbe essere l’U.E. e cioè uno Stato-Nazione federale.
Perchè l’U.E. possa diventare uno Stato-Nazione federale ci vorranno decenni e forse almeno un secolo. È uno dei suoi padri fondatori, Delors, ad aver dichiarato che a definire l’UE saranno le crisi; osservando il tutto in modo distaccato non posso fare a meno di concordare.
Le differenze tra gli Stati nazionali e i sistemi sociali che fanno parte dello spazio geopolitico occupato dall’UE sono notevoli, e questo nonostante le radici comuni rappresentate dal diritto romano, dal mondo barbarico e dal Cristianesimo. Il punto è che ciascuno di questi elementi si è intrecciato in modo diverso al punto che quando si parla di Europa dovremmo sempre specificare a quale di esse ci riferiamo.
C’è da dire che se Conte avesse immediatamente detto che il Governo si apprestava a varare una manovra di politica economica e finanziaria da 340 miliardi attraverso un meccanismo di prestiti alle imprese, il raffronto con la dichiarazione della Merkel avrebbe dato meno nell’occhio. Perché se non fosse chiaro il Governo Merkel non impegna 550 miliardi direttamente, magari indebitandosi, ma opera dando indicazioni alla propria banca la KFW, l’equivalente della nostra Cassa Depositi e prestiti, di elargire prestiti alle imprese per far fronte alla crisi in corso. Il meccanismo adottato non è quindi molto diverso da quello adottato dal Governo Italiano. Si tratta appunto di prestiti che coloro che vi accederanno, prima o poi, dovranno restituire.
Ritornando al ruolo dell’UE l’altra questione che tiene banco è la flessibilità e cioè la sospensione, in via temporanea, dei vincoli di bilancio. In merito a questo aspetto il dibattito viene da lontano per capire che sia così è sufficiente ritornare sul discorso fatto dalla Presidente della Commissione von der Leyen all’atto dell’insediamento. Fino ad ora il confronto sull’allentamento dei vincoli di spesa pubblica ha riguardato i soli investimenti nel settore ecologico; il COVID-19 ha sortito l’effetto di accelerare il dibattito. Per quanto riguarda questo tema è il movimento politico Patria e Costituzione che, con un documento pubblicato su Huffington Post e sul proprio sito web, coglie le criticità alle quali si dovrà mettere riparo.
Il finanziamento del Decreto varato dal Governo italiano è in deficit, tale ulteriore deficit con la contrazione del PIL porterà sicuramente alla crescita del debito pubblico per cui la negoziazione con l’UE e anche il prossimo summit del G7 dovranno riguardare il debito pubblico e la necessità che esso venga sterilizzato. Come storicamente accade sono le crisi a determinare i cambiamenti, l’UE essendo un non Stato resiste alle crisi perché dotato di una flessibilità tale da consentirle di superare i momenti critici. Slabbrature e contraddizioni sono le condizioni che le consentono di continuare a vivere. Bisognerà attendere le conclusioni dell’Eurogruppo di oggi (16 marzo n.d.r), il ruolo che si delineerà per BCE e BEI e, da qui ad aprile, il prossimo Decreto del Governo italiano per poter capire quali saranno gli spazi di negoziazione conquistati da quest’ultimo.