Le Foibe. 10 Febbraio, La Giornata della Memoria. Oblio e Memoria. di Clemente Luciano

di Clemente Luciano. Le Foibe. Con questo nome sono chiamate le cavità carsiche, quelle spaccature nel terreno localizzate nelle montagne del Carso in Friuli. Ma quel nome è oggi più tristemente conosciuto per la tragedia che, nell’immediato dopoguerra, si consumò in quelle terre.

Esse, tra il 1943 e il 1947, furono il palcoscenico di sommarie esecuzioni da parte dei partigiani comunisti di Tito che nelle foibe gettarono migliaia di persone, in quella che fu una vera e propria “pulizia etnica” della popolazione italiana dei territori dell’Istria e della Dalmazia ,anche per reazione alle violenze consumate in quelle terre dal regime fascista durante la guerra.

Al massacro delle foibe seguì l’esodo forzato della maggioranza dei cittadini di etnia italiana della Venezia Giulia e della Dalmazia, territori del Regno d’Italia che furono successivamente annessi alla Jugoslavia.

Si stima che gli italiani cacciati dalle loro terre ammontino ad un numero compreso tra i 300.000 e i 350.000 unità.

Dal 2004 il Parlamento Italiano ha istituito il 10 febbraio quale “Giornata della Memoria” per ricordare quella tragedia. La Memoria, appunto.

Nietzsche, nella sua filosofia, si poneva la domanda: la Storia, la Memoria è utile o dannosa? E’ la risposta che lui si dava era che sì, la Storia e la Memoria hanno una loro utilità se servono ad alimentare il presente, a vivificare le nostre vite, ad “energizzare” il presente attraverso la memoria di ciò che è stato. Il “pericolo”, per Nietzsche era però un “eccesso di storia”.

Troppo passato, troppa Memoria, troppa attenzione a ciò che è accaduto ieri, schiaccia il presente, pesa sui cuori e sulla testa degli uomini impedendo l’azione,la libertà,la manifestazione del coraggio.

E allora per Nietzsche il modo per evitare che un eccesso di storia limiti l’agire dell’uomo è solo uno: l’oblio. Noi dobbiamo imparare a dimenticare, diceva il filosofo tedesco. Dobbiamo coltivare l’oblio: “chi non sa sedersi sulla soglia dell’attimo, dimenticando tutto il passato, chi non sa stare su un punto senza vertigini e paura, come una dea della vittoria, non saprà mai che cos’è felicità”.

Ma davvero può essere vera una cosa così? Veramente si può dare spazio all’oblio, alla dimenticanza, davvero siamo oggi difronte ad un “eccesso di storia e di Memoria”?

Se solo si guardano le immagini dei campi di sterminio di Auschwitz ma anche le immagini delle Foibe e dei profughi istriani, non può che dirsi che la Memoria, elaborata attraverso la Storia, non è mai abbastanza e che anzi è proprio la sua persistenza che può farci capire che cosa  l’uomo è diventato in questi tempi di nuovi Muri, di chiusure etniche, di misantropia, di odio razziale, di disprezzo nei confronti dell’altro o del diverso.

Che poi questi nuovi modelli politici e sociali sono proprio l’antitesi dell’essere uomo, essendo questi, come diceva Aristotele, un “animale sociale”. Con le immagini, dunque, la Memoria. Ma anche con una voce e una canzone. La voce è quella di Sergio Endrigo, che da profugo istriano, ricorda nella sua canzone “1947”, il dramma che lui, poco più che bambino, visse con tutta la sua gente.

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