L’ascesa delle destre e il crespuscolo del riformismo. di Antonio Ferrante

di Antonio Ferrante. Gli ultimi sondaggi post sardine consegnano un quadro politico pressoché immutato con la crescita, da una parte, dell’ala più a destra e, dall’altra, piccole balzi alternati a cali di consenso per le forze del centrosinistra.
Un simile dato, se pure da prendere con le molle, rappresenta comunque un elemento di riflessione soprattutto per chi si rivede nell’attuale coalizione di governo e nei partiti che la compongono.
Il Pd, nonostante l’approvazione del nuovo statuto che dovrebbe ricucire e rafforzare il rapporto con la base e l’elettorato in genere, continua a dare l’immagine di veliero senza rotta, prigioniero a Roma di un’alleanza di governo solida come un castello di carte durante la Bora di Trieste e, sui territori, di una classe dirigente autoreferenziale di eletti determinati a tenere le redini in vista delle possibili politiche anche a costo di sacrificare la militanza accontentandosi, in un’ottica di sopravvivenza personale, di quel poco o molto che c’è sul fondo del barile.
Mentre quindi le piazze si riempono per paura di una deriva estremista, i circoli si svuotano e, con essi, quella pulsione al cambiamento ed alla proposta che per anni sono stati la linfa vitale del riformismo, unico antidoto contro destre e populismi.
Già, il riformismo.
In un Paese anni luce indietro per infrastrutture, corruzione, emarginazione sociale, crescita zero e emigrazione non più soltanto giovanile, dovrebbe bastare pronunciare la parola “riforme” per attirare il consenso di un popolo che oggi invece, se non cede all’astensionismo, sceglie chi gioca sulla paura e su promesse in grado, purtroppo, di dare speranza nella disperazione.
Se questo non accade, nonostante il Pd viva la sua ennesima stagione di governo, è perché per interpretare il riformismo oggi occorre l’umiltà di ascoltare gli ultimi sapendo che le prime parole saranno dure, il coraggio di rischiare tutto, compresa la propria carriera, per non tradire i propri valori e soprattutto i propri programmi e, soprattutto, la consapevolezza che autoreferenzialità ed eternità sono concetti pericolosi.
Spetta quindi alla base ricompattarsi e aprire una nuova stagione di proposta e riforme in contrapposizione al modello di sopravvivenza fino a esaurimento scorte.
Le altezze non possono esistere se non poggiano su basi solide e, nel caso del centrosinistra, la vera speranza sta proprio nei tanti che oggi scendono in piazza contro le destre ma che, parallelamente, devono chiedere a gran voce un cambio di passo e di classe dirigente non più esprimendo il proprio dissenso attraverso l’astensione, prima causa dell’ascesa di Salvini e co, ma individuando i migliori e imponendoli come protagonisti anche nei partiti, anche nei movimenti e ovviamente nelle istituzioni.
La storia ci insegna che raramente chi sta in sella, se non costretto, decide spontaneamente di scendere finchè la base, la gente, i militanti, non decidono di disarcionarlo.

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