di Giovanni Graziano Manca. Un romanzo nato da una concatenazione fortunata di incertezze che, scrive l’autore, vorrebbe essere una serie di annotazioni. Dyer, tra gli scrittori più conosciuti della contemporaneità letteraria britannica, non riesce a decidersi tra l’alternativa di realizzare un saggio critico su David Herbert Lawrence (scrittore “che aveva fatto nascere in me il desiderio di scrivere”) e quella di scrivere un romanzo nell’accezione più classica del termine. Viene fuori, dal travaglio creativo dyeriano, un romanzo “sui generis” lontanissimo, nel tenore della scrittura e nelle intenzioni dell’autore, dai saggi critici e accademici.
Meglio: per Dyer, parlare, per esempio, di libertà personale, di realizzazione del proprio destino o della ricerca del posto in cui vivere offre l’occasione per parlare di Lawrence e viceversa.
È, quello che lega lo scrittore di oggi Dyer ad uno dei capisaldi della letteratura inglese di tutti i tempi, un rapporto vivissimo che è gravido di implicazioni creative rilevantissime e sempre in grado di ispirare. Dyer tiene molto al suo particolarissimo modo di “vivere” l’opera letteraria e di ciò da dimostrazione nelle pagine più interessanti del volume. “Vivere” nel proprio intimo le opere degli scrittori, dunque: tutt’altro che scrivere saggi accademici di critica letteraria, dal momento che, è il Dyer-pensiero, “È il marchio di garanzia della critica accademica uccidere tutto quello che tocca. Se camminerai in un campus universitario sentirai l’impalpabile odore di morte che vi aleggia, perché li dentro ci sono centinaia di accademici indaffarati a uccidere tutto quello che toccano.”!