di Salvatore Falzone. A metà gennaio del 1793 i deputati della Convenzione Nazionale venivano chiamati a votare sulla sorte di Luigi XVI. La votazione avveniva per appello nominale. I quesiti posti erano tre:
Primo quesito: “Luigi Capeto è colpevole di cospirazione contro la libertà della nazione e d’attentato contro la sicurezza generale dello Stato? Sì o no”;
Secondo quesito: “La sentenza della Convenzione Nazionale contro Luigi Capeto sarà sottoposta alla ratifica del popolo? Sì o no”;
Terzo quesito: “In qual pena Luigi, ex-re dei Francesi, è in corso?”.
Sul primo punto i deputati avevano votato la colpevolezza del Re, ma sugli altri quesiti cominciava una battaglia tra gli esponenti della Montagna e della Gironda. Le attenzioni, dall’assemblea alle tribune, erano concentrate su Filippo Égalité, un tempo duca d’Orléans, cugino del Re.
Al secondo quesito Filippo Égalité si presentava alla barra della convenzione, i memorialisti ci parlano di un Orléans “pieno di sudore”, dichiarando: “Non mi occupo che del mio dovere: dico no”. I deputati girondini lo incalzavano, dai loro banchi gridavano. “Non abbiamo udito”, costringendo l’Orleans a ripetere il suo voto con voce più forte. Tutta la sala accoglieva il suo voto con mormorii.
Ritornando al suo posto cercava lo sguardo di Danton che gli voltava le spalle, mentre Robespierre esclamava sottovoce: “Disgraziato; era permesso solo a lui di rifiutarsi, ma non ha osato farlo!”.