di Francesca Marra. Si avverte sempre più la distanza atavica tra Nord e Sud Italia. Il flussi migratori dei tanti giovani del meridione, verso altre città del Nord, è in continuo aumento. Ogni giorno sempre più ragazzi del Sud, circa l’84,4% degli under 25, sono portati ad abbandonare la propria casa d’origine, la propria città e gli affetti più cari.
Quello che invece possiamo affermare è il fatto che ancora oggi si vada via da un posto per necessità e non per scelta.
Non tutti dunque hanno la fortuna di poter tornare da dove vengono e provare a investire per il proprio futuro, c’è chi una volta andato via non ha altra scelta se non quella di accettare questo compromesso.
Un nuovo flusso migratorio, quello odierno; differente dall’emigrazione che si è verificata in Italia agli inizi del 900 e del dopoguerra, ma nondimeno drammatica per gli effetti di impoverimento che sta producendo su tutto il sud Italia.Una divisione territoriale in netta crescita rispetto alle origini, che risalgono all’unificazione nazionale, e che lascia il meridione completamente a secco.
Lasciare casa propria deve essere una scelta, non un’imposizione.
Piuttosto, la questione riguarda l’idea di partenza che accompagna chi lascia il Meridione per cui è impossibile tornarvi, perché tanto chi lo trova il lavoro in una parte d’Italia in cui la disoccupazione è doppia rispetto al resto del Paese, in cui già si fa fatica.A perderci, come sempre, sono quei giovani che non hanno abbastanza mezzi in partenza da poter decidere dove stare, che lavoro fare. Ci si trova così davanti a un bivio per cui alla prospettiva di un non-futuro si accetta di vivere lontani dalla propria famiglia, dai propri amici storici che si sparpagliano tra le regioni più promettenti, accontentandosi di quegli incontri programmati per tutti nello stesso momento, e che si concludono sempre con il solito genere di domanda: “E a Pasqua scendi?”.
Molto spesso i ragazzi del meridione, qualificati e non, per vivere nel proprio paese sono costretti ad accettare lavori retribuiti miseramente, la maggior parte delle volte senza contratto e senza alcun rispetto delle norme o diritti lavorativi, motivi che alimentano i flussi migratori.
Oltre all’aspetto economico si evince anche quello psicologico; i giovani, delusi dalle scarse risorse del loro territorio, provano spesso un sentimento di insoddisfazione personale. Sentimento che li conduce a prendere l’unica decisione possibile: andare via e ricominciare.
“Mi sono trasferita in Emilia Romagna, che per noi del sud non è proprio estremo Nord. Sono passati ormai diversi mesi e non c’è giorno in cui io non pensi a casa mia, alle persone che ho lasciato e alla mia famiglia”.
Succede a Francesca, 27 anni, anche lei napoletana, che quel giorno ha lasciato casa per cercare una sistemazione migliore.
“Abito al Nord da 2 anni e qui ho trovato finalmente il lavoro per il quale ho studiato; sono una maestra di asilo nido. Per quanto sia difficile stare lontano dalla mia famiglia, dai miei affetti più stretti, oggi sono ripagata come dovevo. Trovare lavoro al Sud mi risultava davvero difficile, qui invece sono riuscita a realizzare parte dei miei sogni”.
Il peso della lontananza. Non è stato facile per Martina e Giovanni
È stato facile? Quasi mai. La lontananza pesa. Per ora, e forse per i prossimi anni, la mia casa è qui ma nel mio cuore, è costante la voglia e il pensiero di tornare a casa”.
Anche Giovanni migra verso Nord
“Vivo da due anni a Parma e sono della provincia di Napoli. Giù al Sud facevo il barista, lavoravo tante ore al giorno e avevo uno stipendio che non mi gratificava. Ho provato, per anni, a trovare di meglio ma nulla.
Noi giovani abbiamo bisogno di certezze e incentivi, e lì purtroppo ce ne sono davvero pochi, sono sicuro aumenteranno i flussi migratori dei giovani”.
Le statistiche confermano i nuovi flussi migratori: il Sud Italia si sta svuotando.
E così si alimenta quel circolo vizioso per cui meno si lavora, più università si trovano costrette a ridimensionare i costi, più giovani scappano via.
Che le colpe ricadano su diversi fattori, specialmente quelli interni al Meridione, è noto: sin dall’Ottocento le sue classi dirigenti hanno usato la scusa stessa dell’arretratezza per legittimare un immobilismo sociale, civile ed economico che si è nutrito di voto clientelare e criminalità organizzata.