Un matrimonio contemplativo. Elena si sposa da sola.
In tutta la nostra bella vicenda matrimoniale avemmo solo un problema piuttosto serio: mia madre, per “occhiu di populu”, voleva che si celebrasse anche la versione religiosa del matrimonio nel rito cattolico.
Credo che sia venuta in Ungheria per assicurarsi che sarebbe stato officiato con il rito di santa romana chiesa.
Quella mattina era di domenica. La sera precedente erano stati presi accordi con l’arciprete della chiesetta cattolica di Ecser, (era una grossolana bugia affermare che sotto il regime comunista le chiese, i fedeli non godessero della libertà di culto), per la celebrazione del matrimonio religioso.
Si giunse a un compromesso assai complicato, contraddittorio, che vedrò di spiegare riassumendone i termini principali: la funzione in chiesa ci sarebbe stata, ma a sposarsi doveva essere solo Elena; io avrei solo presenziato al mio matrimonio. Insomma, una presenza puramente contemplativa. La trattativa era stata condotta su diversi tavoli e fu fortemente aiutata dal buon vino Tokaj che convinse il prete ad adottare una procedura anomala. Anche mia madre approvò, tanto a lei interessava avere il certificato di matrimonio religioso da portare alla parrocchia di Ioppolo e, eventualmente, esibirlo a qualche curiosa.
A me l’accordo stava un po’ stretto. Tuttavia- di fatto- salvaguardava la mia dignità di non credente.
E così, verso le 10, 30 di quella domenica (1 agosto 1971) formammo un piccolo corteo, una quindicina di persone in tutto, che si avviò verso la chiesa posta a circa 500 metri da casa.
Camminando, in fila per due sul marciapiedi ombroso e deserto, fui assalito dal dubbio, dal sospetto che, una volta davanti al prete, mi avrebbero pootuto mettere con le spalle al muro.
Temetti l’inganno, uno scherzo da prete. E così, a metà del percorso, mi ribellai a quella pantomina, lasciai il braccio della sposa e scappai verso casa, provocando sconcerto e indignazione nel piccolo corteo.
Tuttavia, nessuno alzò la voce o mi corse dietro. Solo Elena tentò di recuperarmi. Impossibile! Veloce come un ratto, in una manciata di secondi, raggiunsi la casa di Petofi utza n. 3. Ritenendo che la porta d’ingresso fosse chiusa a chiave, tentai d’infilarmi dalla finestra, semiaperta, che dà nel salotto.
Questo mio armeggiare allarmò le due donne (Margit Neni- zia Margherita- e sua figlia Katineni (zia Caterina- rimaste in casa (a mia insaputa) che stavano spennando i polli per il regal pranzo nuziale. Pensarono al ladro. Ma le voci, disperate, della sposina svelarono la vera motivazione della fuga.
Udii Margitneni (la cameriera del contrammiraglio Hoythi, dittatore fascistoide fra le due guerre – vedi foto in altra pagina) imprecare contro di me, mentre con una padella in mano mi minacciava a riprendere il mio posto nel corteo nuziale. Così avvenne.
Fra i pianti Elena e le minacce di zia Margit mollai la presa e ripresi la strada per la chiesa, Il corteo, con in testa mia madre, non si era smosso da sotto quel ombroso albero d’amarene carico di frutti.
Nei villaggi ungheresi si usa piantare ai bordi delle vie alberi di frutta (peschi, amareni, prugni, gelsi, ecc.) Tutta roba utile e di qualità di pertinenza del proprietario della villetta che si affaccia su quel tratto di via, il quale ne cura la crescita e la conservazione.
All’occorrenza, anche i passanti possono assaggiare quelle delizie.
Ma torniamo al corteo che ora, visibilmente rallegrato per il mio ritorno, si ricompose con alla testa gli sposini, e riprese la via verso la chiesa.
Attendemmo all’esterno, in attesa che il prete congedasse i fedeli venuti per la messa.
Uscirono alcune vecchiette. Entrò il nostro gruppetto e si dispose nelle prime file. Dietro la sala era quasi piena. E questo non era nei patti.