Eutanasia, tra legge e religione. di Antonello Laiso

di Antonello Laiso. L’argomento è quanto mai impegnativo e per la sua risoluzione non sono bastati anni di battaglie, di commenti, di trasmissioni televisive, di pagine scritte.
Ovvero di quella nostra non più vita, di quelle sofferenze a cui si deve mettere un fine se richiesto personalmente o se non si è più in grado di farlo da chi ci sta vicino.
La  consulta ha nuovamente sopperito quella mancanza di legislazione da tanti attesa, quella legislazione  che la politica era tenuta a fare   sul suicidio assistito di cui alla nota vicenda di Marco Cappato  la cui decisione e stata  non punibile per aver aiutato dj Fabo a  quella pace del fine vita  che non poteva trovare in questa vita terrena.
Quella pace che tanti, tantissimi, (come il sottoscritto) cercherebbero nelle condizioni simili, di  una sofferenza sia fisica che spirituale, a quelle sofferenze proprie ed ancor di più di quelle di chi  ci ama e soffre nel vederci soffrire.
Ma e’ cosi difficile far recepire una simile situazione? La nostra vita non e’ un diritto? ed a chi appartiene?
Dio ci ha dato la vita, ma di certo non puo’ esserne il padrone.
Un dono e’ un dono senza compromessi, un dono e’ nella nostra disponibilita’ non piu’ in colui che l’ha donato.
La nostra vita deve rimanere a nostra disposizione, una nostra decisione scritta o verbale in un momento del genere che non auguro a nessuno, in cui l’unica vita e’ quella artificiale ovvero di essere attaccati a quelle macchine che ci danno quell’ossigeno, ci procurano quel battito e infondono i nostri organi non piu’ capaci di funzionare con quella circolazione forzata.
Sono anni che scrivo sull’argomento in questione, certamente non pretendo che il mio modesto modo di vedere  di una cosi delicata situazione  sia in sintonia a quello di addetti ai lavori, ma la questione merita doverosamente una regolamentazione, con apposite leggi particolari.
La vita e’ e deve rimanere  un nostro diritto disponibile, il  porre fine a quelle sofferenze di una non speranza, tra un agonia del  non vivere e tra una forzatura ad una non vita non puo’ essere soggetto a proibizione ma solo di regole, nessuna legge divina o terrena puo’ imporre un qualcosa come un peccato o  un reato. La legge deve regolamentare.
Quelle norme del codice penale risalgano agli anni quaranta quando la scienza e la medicina giammai poteva pensare ad una cosi avanzata tecnologia di quelle macchine che artificialmente continuano a tenere in vita chi purtroppo e lo dico con vero dolore, chi  in quella vita già non esiste piu’.
Non puo’ essere un peccato ne divino ne di quel codice  un atto d’amore, tale va solo regolamentato come da anni vige un apposita legislazione in tal senso nei paesi Europei.
Non e’ possibile fare non quei viaggi della speranza per aiutare chi e’ affetto da mali a interpretare  quella terapia migliore, ma quei viaggi fuori dalla Nazione dove da anni vige una legislazione sull’eutanasia o suicidio assistito.
Un’agonia non puo’ essere sostenuta da quella scienza, ne da quella religione, la scienza deve al contrario  porre fine ad un agonia, questo deve esclusivamente  essere visto come un estremo atto d’amore.
Ma mi chiedo come si potrebbe pensare il contrario per un persona che tanto  si ama?

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