È bipartisan il vizietto di “occupare” gli alloggi degli enti pubblici pagando quattro soldi di pigione!

di Redazione. Casa, dolce casa? Considerata l’attuale tassazione sarebbe più corretto dire “Casa, amara casa” per chi ne possiede una, “amarissima” poi per chi ha la “disgrazia” di possederne una seconda, perché su questa il fisco non perdona e sono botte da orbi! Certo la casa, magari in pieno centro storico, quando è di un ente pubblico che l’affitta a prezzi stracciati agli amici degli amici, allora non è dolce ma diventa dolcissima, addirittura a rischio diabete!

Ne sa qualcosa l’ex ministra grillina che però alla fine – obtorto collo – ha ceduto all’attacco mediatico a reti unificate e, costretta anche dagli stessi del suo partito, Il Movimento 5 Stelle, ha rinunciato alla “casa di rappresentanza”, un appartamento di 180 metri quadri a San Giovanni a fitto agevolato fornitole da un ente pubblico.
Ma non è certo la prima volta che un politico finisce sulla graticola per una bella casa ad scroccum. È accaduto a molti politici, sia di destra, che di sinistra, che di centro.

In principio fu Massimo D’Alema: Il Giornale rivelò che l’allora segretario del Pds si era visto assegnare una casa dell’Inpdap, a Via Trastevere, in via Benedetto Musolino, al prezzo di circa un milione di lire al mese. Un canone molto basso, anche per l’ormai lontano 1995.

Nella memoria degli italiani è ancora vivida la vicenda della casa “a sua insaputa” di Scajola. L’allora ministro per le attività produttive viveva in una bellissima casa vista Colosseo che aveva pagato poco più di 600mila euro.
I giornali dell’epoca spiegarono che, in realtà, una parte di quella casa – eccedente i 600mila euro – fu pagata dall’imprenditore Diego Anemone.
Si scatenò un enorme bufera mediatica, il ministro si difese dicendo che quell’ulteriore versamento di soldi per la sua abitazione fu effettuato “a sua insaputa”.
Espressione, passata alla storia, moltiplicò le prese di posizioni contro l’esponente di Forza Italia che fu costretto alle dimissioni.
È giusto ricordare – comunque – che Scajola, che è riuscito a vendere la casa vista Colosseo a una cifra superiore al milione e mezzo di euro, fu assolto dai magistrati proprio perché non era a conoscenza del fatto che Anemone avesse pagato una parte dell’acquisto della sua casa.

L’affare della casa di Montecarlo, invece, è stato uno degli eventi che contribuì alla “cancellazione” politica di Gianfranco Fini, fino a quel momento leader indiscusso di Alleanza Nazionale. Infatti, una militante lasciò in eredità al partito di Fini un’abitazione nel principato che – guarda caso – fini per essere affittata da Giancarlo Tulliani, fratello della moglie di Fini, Elisabetta.

Sicuramente qualche problema in più lo ha avuto Renata Polverini, “sorpresa” a vivere in un’abitazione dell’Ater, assegnata al marito, in una zona d’elite della Capitale come San Saba pagando un canone irrisorio: 380 euro. Il marito della ex presidente della Regione Lazio “ereditò” l’appartamento del comune dalla nonna che ci aveva vissuto per molti anni. Poi, nel settembre del 2013 arrivò lo sfratto dei vigili urbani.

Venendo ai giorni nostri ha suscitato scalpore la vicenda della madre della senatrice del Movimento 5 Stelle, Paola Taverna, che viveva in una casa popolare, che è stata poi costretta a lasciare.

Insomma, numerosi signori della nomenclatura, parlamentari e sindacalisti – lungi da essere gente bisognosa – non hanno mai perso il vizietto bipartisan di “occupare” gli alloggi appartenenti all’Inps e ad altre istituzioni nazionali, statali e parastatali, nelle quali abitare pagando quattro soldi di pigione.

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