Il Coronavirus ci ha detto a chiare lettere quali sono i lavori “agili” e quelli… “pesanti”!

di Redazione. Questa pandemia, con le sue chiusure e il “lavoro agile” – altrimenti detto smart warking che fa più figo – ci ha detto tante cose.

Prima fra tutte, che sarebbe più opportuno e necessario dedicare maggior tempo a noi stessi e ai nostri affetti più cari, senza lasciarci travolgere dal logorio di una vita frenetica e tutta di corsa.

In secondo luogo, proprio il lavoro da casa, ha fatto da spartiacque tra due categorie di lavoratori e di occupazioni: quelle che sono utili, necessarie e indispensabili e quelle che se “chiudono” non se ne accorge nessuno.

Senza fare nomi e cognomi che lasciamo individuare all’onestà intellettuale di chi legge – anche se qui ci teniamo a stigmatizzare che non stiamo additando solo il settore del “pubblico” impiego, ma anche e soprattutto quello “privato” – il lockdown ha detto una cosa chiara e incontrovertibile: chi è rimasto a casa non è un lavoratore “indispensabile”, soprattutto grazie alle nuove tecnologie informatiche, le cui braccia sono state sottratte a settori che, invece, sono carenti di manodopera, come l’agricoltura che si vede costretta a lasciar marcire il “non raccolto” sopra gli alberi!

Insomma, il Coronavirus ci ha detto quali sono i lavori “agili” e quelli “pesanti”.

I lavori “smart” dei quali nessuno se ne accorge quando vanno in lockdown, se non per quanto ci costano in termini di tasse e balzelli, e quei lavori che invece hanno un “peso” reale e concreto sull’economia del paese e che non chiudono mai, neppure in tempo di ‘guerra’!

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