C’era una volta l’Italia.

di Grazia Nonis. Viviamo sottoterra. Saliamo raramente in superficie coprendoci il viso con il velo, nella speranza di non venire fermate dagli invasori. Per gli uomini è più dura: si fanno crescere la barba, chinano la testa e sperano di non essere fermati. Cercano cibo e materiale utile alla sopravvivenza, in attesa che venga il loro turno per fuggire. Ci sono vari rifugi sotterranei che usiamo come nascondiglio.
Ci scambiamo i libri dei nostri antenati, in italiano o inglese, alcuni anche in latino. Libri censurati dal regime e che potrebbero costarci la vita. Dalla loro lettura abbiamo imparato ad amare questo paese, i suoi usi e costumi, i suoi dialetti, i suoi artisti e i suoi monumenti: Italia. Ora non si chiama più così. Ci hanno rubato anche l’identità. I politici di allora, premi Nobel del fancazzismo e servi di un’ideologia stupida e distruttiva, in nome di un buonismo schizofrenico, hanno barattato il nostro paese per qualche poltrona e per qualche voto. Hanno segnato il nostro destino cianciando tra congressi di partito e filosofeggiando tra i salotti con i colti, gli intellettuali, ed un manipolo di artisti che recitava la vita come in palcoscenico, usando il “sapere” per imporre le idee ed insegnare a noi, popolo villano e incolto, il vero significato di apertura mentale, disponibilità e uguaglianza. Trittico di parole presente solo nei loro eleganti vocabolari. Hanno voluto creare un’Europa unita e una moneta unica. Una finta libertà, senza dogane e senza frontiere, che ci ha portato dove siamo. Grazie a dei partiticchi, più interessati al proprio guadagno che all’interesse del paese, ci hanno venduto una falsa verità, imponendoci delle regole e permettendo che altri comandassero in casa nostra. Poco ha importato che i nostri avi fossero scesi in guerra e combattuto l’invasore. Che avessero dato la vita e che, per qualche tempo, il paese avesse rialzato la testa. Partiticchi troppo presi a compiacersi per accorgersi degli “infiltrati” che, come dei vasi comunicanti, hanno portato le loro forze ovunque. Questi nuovi elettori, cresciuti nell’ombra a dismisura, han sferrato l’attacco e li hanno “spoltronati”. Un calcio a loro, uno alla costituzione e due pappine alla democrazia. Hanno vinto gli invasori che, in nome di una religione diversa dalla nostra e di una cultura ferma a qualche migliaia d’anni fa, ci governano col terrore. Il loro esercito è formato da chi abbiamo imparato a temere leggendo i libri di storia: popoli cresciuti nella brutalità e privati di coscienza, o vissuti in paesi perennemente in guerra. Paesi che han partorito bambini col fucile in mano. E’ così che siamo finiti qui, sotto terra. Bianchi, rossi neri e gialli, una grande mescola di persone unite contro il nemico. Un corriere, appena arrivato al rifugio e proveniente dal nord Europa, racconta di un muro ricostruito lì dove tanti anni fa era stato eretto e poi abbattuto. Oltre quel muro dovrebbe trovarsi quel che resta dei popoli che, tanti anni fa, abitavano questa folle Europa. Non sappiamo se la loro è vita o sopravvivenza, ma cercare di attraversare quel muro è l’unica cosa che ci tiene in vita.
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