di Francesco Maria Del Vigo. Sono passati dieci anni da quando Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, nella sede della azienda di quest’ultimo, hanno fondato il Movimento 5 Stelle. Sembrava una follia. Celeberrima la frase profetica (al rovescio) di Piero Fassino: «Grillo? Fondi un partito e vediamo quanto prende…».
Non ci credeva quasi nessuno.
Un partito creato in laboratorio da un imprenditore-scienziato pazzo ossessionato dalla democrazia diretta e da un comico che mandava tutti a fanculo.
C’erano tutti gli ingredienti per una barzelletta. Invece con quegli stessi ingredienti il destino ci ha cucinato gli ultimi dieci anni della storia italiana. In questo periodo il Movimento è stato tutto e il contrario di tutto. Tenendo fede al suo nome si è mosso, senza dubbio, dimostrando una spiccata attitudine per il trasformismo. Cinque stelle per mille abiure.
Dovevano essere il movimento dell’uno vale uno e sono diventati il partito dove comanda una piccola setta di potentati, dovevano aprire il parlamento come una scatola di tonno e si sono incollati alla poltrona e ora fanno i pesci in barile pur di non mollarla.
Per anni hanno sbandierato contatti con scienziati e premi Nobel. Reclamavano la competenza al potere e poi hanno portato in Parlamento una delle classi dirigenti più impreparate della storia repubblicana.
Erano i profeti della assoluta trasparenza e adesso gestiscono il loro potere su una oscura piattaforma di proprietà di una azienda privata.
Hanno costruito il loro consenso contro i poteri forti e poi a forza di frequentarli, e di corteggiarli, sono diventati a loro volta un potere forte. Una casta. Che spartisce le poltrone e suddivide tra amici e amichetti i lotti della cosa pubblica.
E poi le esperienze pratiche, quelle sul territorio: tutte fallite, da Roma a Torino, passando per Livorno. E infatti, alle elezioni amministrative i pentastellati vanno sempre peggio, elezione dopo elezione. Perché chi li conosce li evita, li vota come si mette un mi piace su Facebook, traccia una X sul simbolo per recapitare un vaffa alle istituzioni, ma non li vuole tra i piedi, col cavolo che li mette ad amministrare strade, scuole e ospedali della propria città.
Ma il meglio è arrivato nell’ultimo anno, giusto per il decennale. Dovevano essere il partito più rigido e inflessibile, quello che non scende a patti con nessuno e invece, a parte il Diavolo, hanno stretto accordi con chiunque. Si sono fatti concavi e convessi, hanno accettato tutto e tutti.
Il vaffanculismo si è evoluto in leccaculismo.
Con invidiabile disinvoltura hanno trasformato il nemico in amico, sbianchettato anni di battaglie, slogan e insulti. Prima il matrimonio con la Lega di Salvini e poi l’abbraccio mortale col Pd. Il partito di Grillo al governo con quello di Renzi, quello che fino a ieri l’altro chiamava l’Ebetino. Un capolavoro e, a dieci anni dalla fondazione, la rappresentazione più chiara di quello che rimane dei grillini: l’opportunismo.
Non sono come tutti gli altri, sono peggio. Perché hanno anche la pretesa di essere migliori.
Buon compleanno