Zone d’ombra. Riflessioni controcorrente.

di Luciana Piddiu. Da qualche tempo vado inanellando alcuni fatti di cronaca come grani di un rosario. Mi inquieta che nella loro gravità vengano fatti passare sotto traccia, forse perché hanno come protagoniste delle donne. Provo a citarne qualcuno.

  • Fa prostituire in un ovile la figlia di 13 anni. Mamma arrestata. (Agrigento, 12 Marzo 2019).
  • Donna violenta da anni i suoi 4 figli disabili. Arrestata insieme al compagno. (Taranto, 8 Marzo 2019).
  • Madre droga e fa bere la figlia di 17 anni. Poi il suo compagno abusa della giovane. (Genova, 18 Febbraio 2019).
  • Una mamma costringe la figlia di 13 anni a masturbarsi e poi manda il video ad un pedofilo. (Conegliano, 28 marzo 2019).
  • Atti sessuali con un minore di 13 anni durante l’ora di ripetizione. L’assistente sanitaria di Prato dà alla luce un bambino che suo marito riconosce come figlio proprio. (Prato, 12 Marzo 2019).

Solo quest’ultimo episodio ha suscitato una qualche debole reazione nell’opinione pubblica mentre gli altri sono subito svaniti dalle pagine di cronaca dei quotidiani nazionali.

Sulla assistente sanitaria, già madre di un ragazzino, qualcuno ha scritto che in verità non di violenza o di abuso si tratta ma di un’esperienza erotica gratificante per il minore in piena tempesta ormonale data l’età. Il che è platealmente contraddetto dalle suppliche del ragazzino di essere lasciato in pace e non più ricattato.

Questa squallida vicenda odora di manipolazione e – comunque vadano le indagini – lascerà  tracce pesanti nella psiche e nella sfera delle emozioni dell’adolescente usato come un giocattolo  di carne, costretto mentre è  ancora figlio in fase di transizione dall’infanzia all’adolescenza, a farsi padre suo malgrado.

Ma proprio questo episodio che non è sparito subito dalla cronaca può gettare luce su tutti quegli altri. Darci un indizio di cosa si agita nella mente di chi lavora nel settore dell’informazione e contribuisce al formarsi dell’opinione pubblica.

Nel caso di Prato dove non è in gioco la relazione madre-figlio/a alti si sono levati i ‘lai’ da parte di schiere di innocentisti, secondo cui la signora non avrebbe fatto niente di male perchè non si può violentare un maschio e poi è il maschio l’unico vero autentico predatore e sicuramente il ragazzino avrà goduto delle attenzioni sessuali dell’improvvisata insegnante.

Sugli altri gravi fatti di abuso e sopraffazione si è steso un velo pietoso. Sembra inaccettabile il dover riconoscere che anche le donne – le madri per giunta – si prestano ad usare e violare i loro figli.

Perchè questa tolleranza o indifferenza verso queste derive e perversioni delle relazioni tra madre e figli? O tra donne adulte e minori?

Se i protagonisti fossero stati dei maschi si sarebbe gridato allo scandalo, si sarebbe invocate la castrazione chimica e il carcere duro.

Perchè questa asimmetria nel giudizio? Le donne sembrano godere in modo del tutto ingiustificato – se teniamo conto dei dati di realtà – di un pregiudizio positivo che scatta nei loro confronti.

Non vi è alcun dubbio che nella vicenda millenaria dei sessi le donne sono state le vittime di un sistema che le ha oppresse, sfruttate, negate, abusate, uccise talvolta.

Gli uomini hanno giocato il ruolo dei carnefici esercitando un potere assoluto sui corpi e le menti. Ma lo scenario è cambiato grazie alle lotte  degli ultimi due secoli e a straordinarie figure femminili che si sono pensate come ‘soggetti’ liberi e autonomi, non più appendici di qualche maschio.
Oggi le donne sono libere di scegliere. Tuttavia  l’esercizio della libertà non è gratuito, comporta un prezzo  quello della responsabilità  delle scelte che si fanno.

E allora perchè ci si ostina a dire che se le donne assumono il ruolo di carnefici, non a loro va imputata la colpa ma al sistema sociale in generale? O ad asserire che le donne hanno sempre ragione qualunque cosa facciano?

Il rifiuto di vedere le zone d’ombra che pure albergano negli esseri di sesso femminile sembra una costante che si ripete in questi casi. Una volta di più le donne vengono considerate nell’opinione corrente ‘vittime’, incapaci di scelte autonome e dunque necessitate a comportamenti inaccettabili da non si sa bene quali cause di forza maggiore.

Ritorna il leitmotiv  giustificazionista a tutti i costi senza considerare che questo modo di  ragionare rende obiettivamente le donne delle minus habens.

Certo i rapporti di potere sono ancora in larga misura saldamente in mano agli uomini ma questo non deve impedirci di cogliere ciò che si cela dietro questa forma di negazionismo: l’idea che ‘per natura’ la donna non sia aggressiva ma fondamentalmente accogliente, amorevole, incapace di gesti sconsiderati di violenza e abuso.

Tuttavia alcuni miti (Medea in primis) e fiabe (Biancaneve, Hànsel e Gretel) per non dire di personaggi letterari illuminanti come Lady Macbeth potrebbero aiutarci a cogliere indizi preziosi per decodificare correttamente alcuni fatti. E se a questi non vogliamo dare credito possiamo sempre servirci di studi antropologici per aprire finalmente gli occhi e la mente.

Un’ipotesi convincente sembra essere quella  avanzata da Valcarenghi nel suo “L’aggressività femminile”. In tempi lontani sembra essere successo qualcosa  che ha indotto la compressione dell’aggressività femminile, forse per esigenze legate alla conservazione della specie.

Questa costrizione avrebbe avuto nel corso del tempo esiti altalenanti  tra comportamenti eccessivi come forme di prepotenza, insofferenza, collere esplosive,ecc. o deficitari come forme di autolesionismo, senso di colpa, insicurezza, dipendenza.

L’istinto aggressivo represso si sarebbe ammalato non riuscendo ad esprimersi e rivelandosi cosi incapace di garantire la necessaria autodifesa dello spazio fisico, psichico e sociale che solo consente l’affermazione dell’identità soggettiva.

Accanto a questa ipotesi non andrebbe trascurato, a mio avviso, l’esito perverso di una cattiva ‘emancipazione’, quella che in nome dell’uguaglianza, insegue i maschi sul loro stesso terreno di predazione  per pareggiare finalmente i conti dello svantaggio accumulato nei secoli.

Alcune sembrano bearsi del loro potere di seduzione e della loro capacità predatoria e ad ogni conquista piantano la bandiera, fiere del nuovo status di cacciatrici e della conquistata indipendenza.

Ma noi sappiamo bene che non è questa la strada maestra per liberarci del male che gli uomini hanno fatto, ci fanno, si fanno.

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