Un caffè al “Gambrinus”.

di Clemete Luciano. Ci sono posti nei quali si riassume il significato di un tempo, la memoria e la cultura di un popolo. Uno di questi posti, ad esempio, è il “Gambrinus, il “Caffè” di Napoli famoso in tutto il mondo. Inizialmente chiamato “Gran Caffè”, fu poi ribattezzato “Gran Caffè Gambrinus”.

Esso fu fondato nel 1860 dall’imprenditore napoletano Vincenzo Apuzzo.Nel 1890 i locali furono rinnovati dall’architetto Antonio Curri(celebre per aver realizzato la Galleria Umberto,nel cuore di Napoli)che creò un gioiello di arte Liberty con specchi,divani rossi e oltre 40 dipinti di artisti della scuola di Posillipo.

Il Gambrinus è nel “salotto” della città,tra Piazza Plebiscito,il Teatro San Carlo e Castel dell’Ovo.Durante la Belle Epoque il Gambrinus ospitò le più grandi menti del periodo:letterati,artisti,musicisti.e anche dopo,nel corso dei suoi 160 anni,il Gambrinus ha rappresentato il cuore della vita mondana,culturale e letteraria della città:re e regine,politici, giornalisti,letterati e artisti di fama internazionale lo hanno eletto a luogo di incontro dove discutere di filosofia,politica,letteratura.

In quel Caffè Letterario amava venire Benedetto Croce e più volte è stato ospite Oscar Wilde con il suo amante,nel loro periodo napoletano.Lì si decideva molto del futuro del Regno e della vita politica cittadina.Qui passava lungo tempo Gabriele D’Annunzio che ne amava i fasti e l’aria lussuosa.

Agli stessi tavolini la scrittrice e giornalista Matilde Serao e il poeta Eduardo Scarfoglio progettarono “Il Mattino”,ancor oggi il più diffuso quotidiano meridionale.Le stesse sale furono frequentate da Filippo Tommaso Marinetti,Hemingway,Sartre,Woody Allen,Totò,i fratelli De Filippo.Tanti uomini politici e cariche istituzionali italiane e straniere vi passarono:i Presidenti della Repubblica,Cossiga,Ciampi,Napolitano e Mattarella,la signora Merkel e da ultimo perfino Papa Francesco.

Ma il Gambrinus è anche la memoria di tante tragedie di Napoli.La memoria delle bombe durante la seconda guerra mondiale e delle 4 giornate del settembre ’43,le giornate dell’insurrezione contro i nazisti.La memoria dell’eruzione del Vesuvio del 1944,richiamata anche da Curzio Malaparte,nel suo libro “La pelle”,nel quale lo scrittore racconta anche la fame del popolo napoletano subito dopo la guerra:il contrabbando,gli “sciuscià”,i ragazzini lustrascarpe e le ragazzine “vendute” agli americani per qualche Am-lire per campare.E c’è la memoria del terremoto dell’Irpinia del 1980:2 minuti di distruzione che lasciarono un senso di precarietà per decenni.

Di tutte queste memorie i napoletani hanno parlato e conversato e discusso,davanti a un caffè,al “Gambrinus”.Per questo non è un caffè come gli altri,il Gambrinus.Per questo la notizia della sua chiusura a seguito delle difficoltà economiche causate dal covid e l’idea stessa di quella serranda abbassata,l’assenza dei tavolini in piazza non passano senza lasciare smarrimento in un popolo già smarrito.

Per carità,questo triste destino è condiviso da centinaia di aziende,e non c’è provvidenza o ristoro che possa risolvere una crisi che minaccia di essere esiziale per un intero mondo commerciale.E tuttavia, esistono i simboli.Quelli che rappresentano un po’ tutto il resto,quelli che racchiudono in sé significati molto maggiori di quelli materiali.Il Gambrinus significa capacità di guardare oltre.

Di pensare che la vita riprenderà,come dopo la guerra e il terremoto,quando il Gambrinus non chiuse.E invece questo virus,sterminatore di uomini e umanità,è riuscito dove non riuscirono le grandi catastrofi.È questo il motivo per cui,a leggere questa notizia in mezzo alle altre che raccontano le così grandi tragedie di questo tempo,all’angoscia generale si aggiunge altra angoscia,sapendo quello che nel Gambrinus è stato.

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