Tfr in busta paga: meglio l’uovo oggi o la gallina domani?

Il governo delle giovani marmotte prima ci ha provato con gli ottanta euro di cuneo fiscale, ma poi ha abbandonato la retta via, che portava alla riduzione delle tasse sulla busta paga dei lavoratori dipendenti, per mancanza di liquidità. E adesso, considerata l’evidente sofferenza delle retribuzioni degli italiani – dimezzate nel loro potere d’acquisto dal caro vita, ma soprattutto dalla conversione “lira-euro” – prova a dare un minimo di sollievo a chi campa di stipendio pensando di anticipare la liquidazione in busta paga in rate mensili! Ma quanti soldi, effettivamente, entrerebbero nelle tasche dei lavoratori dipendenti con questa ‘manovra’? 

Con uno stipendio medio di 1.240 euro netti al mese, l’azienda trattiene 104 euro di Tfr, ovvero il 7,41% dello stipendio lordo. Con l’anticipo del Tfr, quello stesso lavoratore si troverebbe in busta paga 75 euro in più.
Perché gli verrebbero restituiti quei 104 euro di Tfr meno l’aliquota del 26%. Ma si può anche decidere di avere in busta paga solo la metà del Tfr e di lasciare l’altra metà in azienda. In questo caso si avrebbero 40 euro in più in busta paga anziché 75.
Invece con uno stipendio di 1.700 euro netti al mese e un Tfr al 100% in busta paga il lavoratore porterebbe a casa 102 euro in più, con un Tfr al 50%, 68 euro.
Questa la posta messa sul piatto dal premier Matteo Renzi, per trasformare i lavoratori italiani da formiche che mettono da parte, in cicale che si mangiano tutto: prima i risparmi in banca e adesso pure la liquidazione!
Ma attenzione: il Tfr non è un aumento stipendiale ma sono soldi dei lavoratori. Parliamo, infatti, della liquidazione maturata ogni anno. Risorse che il dipendente mette materialmente in tasca solo quando va in pensione. E se è vero che con il Tfr in busta paga il lavoratore avrebbe subito delle disponibilità in più è anche vero che non potrà più godere di un accantonamento che gli garantisce una copertura nel momento in cui finisce il rapporto con l’azienda. Accantonamento che ha anche benefici economici non irrilevanti. I soldi trattenuti dall’azienda, infatti, crescono annualmente dell’1,5% a cui si aggiunge una rivalutazione del 75% del tasso di inflazione. In pratica in 10 anni il Tfr può rivalutarsi del 15-20%. In soldoni, un lavoratore assunto nel 2003 con una retribuzione lorda di 4100 euro ha accantonato finora 37.432 euro. Ma se avesse intascato il Tfr ogni mese ci avrebbe rimesso 3mila euro! Almeno così è quanto accade finora. Ma il governo – come ha ribadito il premier senza voti – lavora perché il Tfr possa essere inserito nelle buste paga attraverso un protocollo tra Abi, Confindustria e governo già dal primo gennaio 2015.
Ma il cosiddetto Tfr, come lo chiamano gli addetti ai lavori, è denaro virtuale: diluirlo in busta paga mese per mese e trasformarlo materialmente in moneta sonante, costringerebbe i datori di lavoro a mettere mano al portafoglio da subito e per tutti i dipendenti prosciugando la già scarsa liquidità di cui oggi dispongono, con la conseguenza di aggravare irreversibilmente la crisi finanziaria. E, d’altro canto, i lavoratori potrebbero allungare il mese di appena qualche giorno, ma senza avere la certezza dell’ultima settimana! 
Ma c’è di più: il Tfr oggi serve a finanziare anche la sanità integrativa e la previdenza complementare, vitale per i lavoratori. Introducendo una misura del genere si andrebbe ad affondare il sistema dei fondi pensione e non sarebbe più garantita una pensione dignitosa.
E allora non sarebbe meglio ricontrattare i salari e rivalutare le pensioni secondo i parametri europei, oppure stiamo in Europa e nella moneta unica solo per farci salassare?
Se si vuole uscire dalla crisi e rimettere in moto i consumi, non bastano pochi spiccioli in busta paga, ma  bisogna mettere benzina nel motore, fare il pieno se non ci si vuole fermate subito dopo. Nelle busta paga dei lavoratori dipendenti – dopo la conversione Lira-Euro – mancano mille euro, tondi, tondi! E siccome a parità di requisiti un lavoratore tedesco guadagna 2.500 euro al mese ed in media il salario europeo si aggira intorno ai 1.900 euro, contro i 1.400 di un italiano, Caro Matteo, basta cazzeggiare, prendi il telefono, chiama ‘chi sai’ e tira fuori il Paese dalle grinfie degli ‘strozzini’ del pareggio di bilancio! 
Mettere mano al tesoretto dei lavoratori, che quando vanno in pensione possono attingervi a seconda che si tratti di aiutare un figlio o badare a se stessi, e non fargli trovare più niente, sarebbe la più grossa fregatura dopo quella dell’abolizione dell’articolo 18! Anche perché le giovani marmotte nei loro spot hanno omesso un piccolo dettaglio: il Tfr in busta paga sarebbe soggetto ad un’aliquota fiscale più alta!
E poi come se la mette Renzi con l’Inps? Gli italiani maturano Tfr per un valore di circa 25 miliardi. Di questi, 5,2 vanno ai fondi pensione. Altri 6 all’Inps. Circa 14 si fermano nelle casse delle piccole imprese. Se il governo vuole dare subito il 50% del Tfr ai lavoratori, allora si creerà un buco da 3 miliardi l’anno nelle casse dell’Inps che andrà coperto.
Insomma, a conti fatti a rateizzare la liquidazione ci perde l’imprenditore, il lavoratore e pure l’Inps. Chi ci guadagna è solo lo Stato! 
Il Tfr a rate è la definitiva resa di un Paese senza futuro, che preferisce l’uovo oggi alla gallina di fine rapporto domani.  

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