Tfr in busta paga: meglio l’uovo oggi o la gallina domani?
Il governo delle giovani marmotte prima ci ha provato con gli ottanta euro di cuneo fiscale, ma poi ha abbandonato la retta via, che portava alla riduzione delle tasse sulla busta paga dei lavoratori dipendenti, per mancanza di liquidità. E adesso, considerata l’evidente sofferenza delle retribuzioni degli italiani – dimezzate nel loro potere d’acquisto dal caro vita, ma soprattutto dalla conversione “lira-euro” – prova a dare un minimo di sollievo a chi campa di stipendio pensando di anticipare la liquidazione in busta paga in rate mensili! Ma quanti soldi, effettivamente, entrerebbero nelle tasche dei lavoratori dipendenti con questa ‘manovra’?
Perché gli verrebbero restituiti quei 104 euro di Tfr meno l’aliquota del 26%. Ma si può anche decidere di avere in busta paga solo la metà del Tfr e di lasciare l’altra metà in azienda. In questo caso si avrebbero 40 euro in più in busta paga anziché 75.
Invece con uno stipendio di 1.700 euro netti al mese e un Tfr al 100% in busta paga il lavoratore porterebbe a casa 102 euro in più, con un Tfr al 50%, 68 euro.
Questa la posta messa sul piatto dal premier Matteo Renzi, per trasformare i lavoratori italiani da formiche che mettono da parte, in cicale che si mangiano tutto: prima i risparmi in banca e adesso pure la liquidazione!
Ma attenzione: il Tfr non è un aumento stipendiale ma sono soldi dei lavoratori. Parliamo, infatti, della liquidazione maturata ogni anno. Risorse che il dipendente mette materialmente in tasca solo quando va in pensione. E se è vero che con il Tfr in busta paga il lavoratore avrebbe subito delle disponibilità in più è anche vero che non potrà più godere di un accantonamento che gli garantisce una copertura nel momento in cui finisce il rapporto con l’azienda. Accantonamento che ha anche benefici economici non irrilevanti. I soldi trattenuti dall’azienda, infatti, crescono annualmente dell’1,5% a cui si aggiunge una rivalutazione del 75% del tasso di inflazione. In pratica in 10 anni il Tfr può rivalutarsi del 15-20%. In soldoni, un lavoratore assunto nel 2003 con una retribuzione lorda di 4100 euro ha accantonato finora 37.432 euro. Ma se avesse intascato il Tfr ogni mese ci avrebbe rimesso 3mila euro! Almeno così è quanto accade finora. Ma il governo – come ha ribadito il premier senza voti – lavora perché il Tfr possa essere inserito nelle buste paga attraverso un protocollo tra Abi, Confindustria e governo già dal primo gennaio 2015.
E poi come se la mette Renzi con l’Inps? Gli italiani maturano Tfr per un valore di circa 25 miliardi. Di questi, 5,2 vanno ai fondi pensione. Altri 6 all’Inps. Circa 14 si fermano nelle casse delle piccole imprese. Se il governo vuole dare subito il 50% del Tfr ai lavoratori, allora si creerà un buco da 3 miliardi l’anno nelle casse dell’Inps che andrà coperto.
Insomma, a conti fatti a rateizzare la liquidazione ci perde l’imprenditore, il lavoratore e pure l’Inps. Chi ci guadagna è solo lo Stato!
Il Tfr a rate è la definitiva resa di un Paese senza futuro, che preferisce l’uovo oggi alla gallina di fine rapporto domani.
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