Terrorismo previdenziale.

Generazione 1960, i nati nel boom economico quando ancora i figli si facevano senza troppi problemi, sono tanti, talmente tanti da essere addirittura troppi per la sostenibilità dell’attuale sistema previdenziale. Tant’è che al momento della pensione – dopo aver lavorato fino a “67anni+speranza di vita” – il pericolo è di ritrovarsi con un pugno di mosche in mano, perchè le casse dell’Istituto di previdenza saranno vuote, praticamente a secco, prosciugate dall’assistenzialismo e dalle pensioni d’oro!
 Generazione 1980, i nati in questi anni sono per lo più disoccupati perché quei posti di lavoro che gli spetterebbero sono ancora occupati dagli ultra sessantenni e per loro la pensione è un miraggio proiettato ai 75 anni. Insomma, la pensione da un diritto rischia di trasformarsi in un castigo: ti collocano a riposo quando ormai hai bisogno di una badante e quel che è peggio con un assegno previdenziale prossimo ad una pensione sociale! A questo punto sarebbe molto più conveniente non lavorare più in “chiaro”, ovvero lavorare continuando a versare i contributi Inps, ma aspettare: aspettare che passi il “reddito di cittadinanza”, aspettare l’età pensionabile per incassare la “pensione sociale”!Questo che stiamo vivendo è vero e proprio terrorismo previdenziale: i jihadisti della previdenza ti minacciano di mandarti in pensione da vecchio e con quattro soldi oppure di “consentirebbero” di anticipare l’età pensionabile con uno scivolo che è ancora più penalizzante in termini economici delle attuali finestre di uscita! Nonostante tutto, lo Stato continua a prelevare in busta paga le ritenute previdenziali, ma se poi non è in grado di adempiere ai propri obblighi, ovvero di restituirci quei soldi accantonati dopo una intera vita, allora che sospenda le trattenute per la pensione e ci consenta di riscuotere lo stipendio per intero che alla nostra vecchiaia, come per la salute, la scuola e la sicurezza ci pensiamo noi cittadini, da soli.
Eppure la soluzione ci sarebbe, il fatto è che nessuno vuole praticarla per paura di perdere voti e privilegi. Eccola “la Riforma del buon senso”:

Separare la previdenza dall’assistenza: pensioni sociali e d’invalidità e cassa integrazione devono essere demandate alla fiscalità generale e non pagate con i contributi dei lavoratori.

Rivedere l’età pensionabile per consentire il ricambio generazionale nel mondo del lavoro e porre rimedio alla disoccupazione giovanile: si deve essere collocati a riposo, a prescindere dall’età anagrafica, 40 anni di contributi bastano e avanzano per andare in pensione.
Rivedere al rialzo i coefficienti di trasformazione applicati ai contributi versati e/o:
Prevedere una quota fissa, corrisposta dallo Stato con la fiscalità generale, che assieme ai contributi versati, sia in grado di garantire una pensione che sia il più vicino possibile all’importo dell’ultimo stipendio percepito.
Ripartire i cosiddetti “sacrifici” tra i pensionati di ieri, di oggi e non solo su quelli di domani, rivedendo i trattamenti pensionistici fondati sul sistema “retributivo secco”, soprattutto a fronte di assegni pensionistici sproporzionati rispetto ai contributi realmente versati.
Insomma, le chiacchiere, soprattutto di certi soloni che, dall’alto di sommi privilegi e dal basso di imperdonabili disastri sociali, non conoscono la dignità del silenzio, stanno a zero. Altrimenti, considerate pure le attuali retribuzioni – le più basse e tassate d’Europa – va a finire che è meglio incrociare le braccia, rinunciare a lavorare e starsene comodamente a casa ad aspettare gli aiuti di Stato: “reddito di cittadinanza” e “pensione sociale”!

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