Studio e gioco siano separati: altrimenti si apprende solo in maniera discontinua.

di Francesco Alberoni. Fin dalla primissima infanzia ciò che oggi viene promosso come educativo, formativo è qualcosa di divertente: videogiochi o strumenti che in realtà hanno lo scopo di distrarre.

Si è ormai diffusa l’idea che non ci debba essere differenza fra studio e divertimento. Vero, dicono, che noi impariamo solo ciò che ci appassiona, ma questo non può significare che noi impariamo solo quando ci vogliamo divertire. Di fronte a studenti distratti oggi i pedagogisti pensano che basti attirare la loro attenzione. Nelle nostre scuole medie degli studenti disattenti e svogliati alzano la testa, guardano l’insegnante solo quando lui dice qualcosa di nuovo, spiritoso e brillante, come se fosse un attore, un cantante o un comico.

Io ritengo invece che gioco e studio vadano distinti. Ci sono delle cose, dei modi di sentire, dei comportamenti pratici che si apprendono con il gioco. Ma altri si ottengono solo con un diverso atteggiamento della mente, che chiamerei «di apprendimento», di «volontà di sapere». Leggendo dei racconti e guardando dei film posso imparare chi sono molti personaggi storici. Ma per conoscere la storia è necessario collocarli sull’asse storico-geografico in modo corretto. Lo stesso vale per la trigonometria, la geografia, la grammatica italiana, la musica.

C’è una differenza fondamentale fra l’apprendimento ludico-emozionale, di divertimento oppure frammentario, basato sulla memoria a breve, su Google, di evasione, e quello intenzionale, la volontà di sapere, di apprendere, di ricordare in cui mettiamo in moto altre parti del cervello, altri circuiti, altri neuroni.

Questo apprendimento multiplo e discontinuo, il «saltare da un argomento all’altro» e il «piluccare» qua e là rende difficile la lettura di un intero libro, sia esso un saggio o un romanzo, è incompatibile con un reale sapere e una reale capacità di apprendere. In questo modo, seguendo l’attualità, lo svago, l’ultimo stimolo, fluttuiamo su un non sapere, perdiamo i contatti con le nostre radici culturali e restiamo arretrati sul terreno scientifico-tecnologico. E ci indeboliamo economicamente sempre di più, diventando colonie dei Paesi più potenti.

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