Stato-Mafia. Intercettazioni. Napolitano contro i giudici.

Comunicato del Quirinale. “Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha affidato all’Avvocato Generale dello Stato l’incarico di rappresentare la Presidenza della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione da sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo per le decisioni che questa ha assunto su intercettazioni di conversazioni telefoniche del Capo dello Stato; decisioni che il Presidente ha considerato, anche se riferite a intercettazioni indirette, lesive di prerogative attribuitegli dalla Costituzione. Alla determinazione di sollevare il conflitto, il Presidente Napolitano è pervenuto ritenendo dovere del Presidente della Repubblica, secondo l’insegnamento di Luigi Einaudi, evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell’occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce“.
Qualsiasi sia la decisione della Corte Costituzionale sul conflitto di attribuzione nella vicenda delle intercettazioni telefoniche dell’inchiesta di Palermo l’importante è mantenere la segretezza delle telefonate del Capo dello Stato“. Lo ha detto il Guardasigilli Paola Severino all’indomani della decisione del presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, di sollevare un conflitto di attribuzione nei confronti della procura di Palermo.
Intercettazioni telefoniche: due pesi e due misure!
di Alessandro Sallusti. Napolitano ha denunciato la Procura di Palermo per attentato alla Costi­tuzione che garantisce riservatezza assoluta alle conversazioni telefoni­che del capo dello Stato. La vicenda riguarda la complessa e antica questione della presunta trattativa tra Stato e mafia per allentare la carce­razione dura ai boss in cambio di una sospensio­ne degli attentati che in quegli anni, primi anni Novanta, insanguinavano l’Italia. Napolitano ne avrebbe parlato, appunto al telefono, in alme­no due occasioni, con un ministro dell’epoca, Nicola Mancino, che preoccupato di essere tra­scinato dentro uno scandalo chiedeva protezio­ne a destra e a manca. Quelle intercettazioni (sotto controllo era il telefono di Mancino) anda­vano distrutte a norma di Costituzione, ma così non è stato. Sono custodite in una cassaforte di Palermo e presto o tardi le leggeremo da qual­che parte. Cosa illegale, esattamente come le conversazioni carpite a Silvio Berlusconi senza l’autorizzazione del Parlamento. E qui sta il pun­to. Napolitano sta subendo lo stesso trattamen­to criminale fino a ieri riservato dai pm all’ex pre­mier. La sua denuncia sarebbe più credibile se come custode della Costituzione e capo del Csm, il capo dello Stato fosse intervenuto negli anni e nei mesi scorsi a difesa dei diritti del presi­dente del Consiglio, non certo inferiore ai suoi. Invece se ne è stato zitto, dando forza a pm im­broglioni e permettendo un linciaggio mediati­co senza precedenti. Le conversazioni private di Berlusconi finirono sceneggiate in prima se­rata sulla Rai, perché mai quelle di Napolitano dovrebbero essere cancellate per sempre? Per­ché quando Berlusconi denunciava l’uso politi­co delle intercettazioni veniva deriso e ora Na­politano dovrebbe essere preso sul serio? E co­me la mettono Bersani, Casini e soci che ora non è il Cavaliere ma il capo dello Stato a sostenere che ci sono pm mascalzoni? Che fanno, portano in piazza il popolo viola con la costituzione in mano a difesa della magistratura perché «se non ora quando»? Perché il Csm non si è ribella­to all’interferenza del Quirinale? Domande inutili, per tutte la risposta è una. Siamo circondati da una banda di ipocriti che usano la giustizia per fini politici. Godono delle disgrazie degli avversari anche se c’è il trucco e piangono come femminucce quando tocca a lo­ro o ai loro amici. Noi, almeno, non cambiamo idea per convenienza e una volta tanto stiamo con Napolitano coda di paglia. Cioè dalla parte di un Paese civile.

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