Solidarietà, una parola che andrebbe declinata al plurale.

di Redazione. In tempi di crisi nera come quelli che stiamo drammaticamente vivendo, c’è chi propone di togliere “qualcosina” ai cosiddetti “garantiti”, alias lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati, e ai “pensionati”, per darlo a chi, invece, è rimasto con le tasche vuote a causa delle chiusure forzate.

Insomma, un contributo di solidarietà da parte di quanti a fine mese possono sempre e comunque contare  su un’entrata fissa, seppure modesta, per aiutare “chi non ce la fa, addirittura, a mettere qualcosa in tavola”, a sentire il pianto greco intonato da talune categorie!

Ora, a parte il fatto che quando c’erano le file fuori da ristoranti e pizzerie per conquistare un tavolo, oppure quando si faceva fatica a trovare l’atrezzo libero in palestra e si rimandava la doccia in casa, tanta era la gente che ci stava dentro, tutti incassavano zitti e mosca, ebbene, in quei tempi di vacche grasse questi signori hanno mai pensato di dare una mano di aiuto a chi se la passava male anche prima della pandemia?

A parte il fatto che non si può fare di tutta l’erba un fascio, dal momento che tra le partite Iva c’è sicuramente chi ha messo sù ingenti fortune, ma c’è anche chi campa alla giornata e se sta chiuso non mangia sul serio, ma non sarebbe altrettanto giusto e sacrosanto pretendere solidarietà, non solo dalle buste paga, ma anche e soprattutto dai grandi patrimoni, dall’e-commerce e dalla grande distribuzione alimentare che anche con il Covid ha fatto soldi a palate? 

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