Redistribuzione della ricchezza e del lavoro: tassare la produttività, lavorare meno lavorare tutti.

Tempi bui: corruzione e malaffare la fanno da padrone nella gestione della cosa pubblica. Tempi di crisi: a fronte di una tassazione sempre più iniqua e pesante a carico dei “soliti fessi” e di salari e pensioni drammaticamente inadeguati al costo della vita, siamo fermi nel tunnel della crisi. Tempi di contrapposizioni sociali: si allarga a dismisura “la forbice” tra ricchi e poveri. Tempi di inaccetabili paradossi: si produce più ricchezza, ma poi ci sono meno soldi per salari e pensioni, meno lavoro e più disoccupati. Ricchezza e Lavoro non vengono equamente redistribuiti, perché si tende a tutelare i lavoratori già garantiti, ma soprattutto perché la ricchezza prodotta va ad ingrassare sempre e soltanto i “soliti noti”. Il problema quindi non è che mancano i soldi, anzi ce ne sono e pure tanti, ma il fatto è che dato un monte di denaro questo va a finire tutto da una sola parte, ovvero da quella di chi di soldi ne ha già tanti, fin troppi! E se il jobs act non è la soluzione al problema della disoccupazione, neppure il contributivo è la soluzione al problema delle pensioni.

Ecco perché. Oggi una fabbrica di 1.000 operai riesce a produrre 100.000 auto e in questo momento il prelievo del fondo pensione per questi 1.000 operai è fatto su quegli stessi 1.000 lavoratori. Con la robotica, la tecnologia, l’intelligenza artificiale e i computer vengono bruciati milioni di posti di lavoro che sono persi per sempre senza crearne di nuovi, perché l’imprenditore investirà sempre in nuova tecnologia e non certo in forza lavoro. Per cui un domani non ci saranno più 1.000 operai in quella stessa fabbrica, ma 500 che invece di 100.000 auto ne produrranno, grazie alle nuove tecnologie, addirittura 200.000. E quando si dovesse arrivare, come si arriverà, ad una fabbrica che con due o tre operai produrrà lo stesso quantitativo di automobili, come si farà a pagare le pensioni di chi non lavora, con i soli contributi versati da quei due o tre operai? Ora se si preleva il fondo pensione soltanto dai pochi operai rimasti in fabbrica l’Inps avrà meno soldi per pagare le pensioni. Se invece si preleva il fondo pensione da quelle 200.000 macchine prodotte, ovvero dalla ricchezza prodotta, il fondo pensione è raddoppiato. Non ci sono leggi che tengono: la ricchezza viene fuori solo dalla ricchezza. Ma quando questa non viene redistribuita tra padrone e lavoratore, allora succede che da una parte i fondi delle pensioni per i lavoratori diminuiscono e dall’altra abbiamo dieci famiglie italiane che nel 2007, cioè all’inizio della crisi, avevano una ricchezza pari a quella di tre milioni e mezzo di poveri e oggi ad otto anni dalla crisi hanno la ricchezza di 6milioni di poveri! Ecco dove vanno a finire i fondi pensione. Ovvero la divisione tra profitto e salario è talmente sbilanciata a favore del profitto che non ci sono più i soldi per lavoratori e pensionati, e fin quando non si cambia questo meccanismo assisteremo impotenti ad un vero e proprio disastro sociale. Se continuiamo a tollerare il fatto che poche persone sono ricchissime, questo ammazza il capitalismo e blocca l’economia, perché 10 famiglie che si pigliano la ricchezza di 6milioni di persone non è che consumano sei milioni di paia di scarpe, sei milioni dia abiti e così via, si blocca il consumo e si blocca la produzione e questo non è un fatto positivo neppure per il capitalismo. Quindi la produttività va tassata. Il lavoro redistribuito tra gli occupati e i disoccupati. E non è vero che così si ammazza l’impresa, perché stiamo parlando di imprese che vanno sempre meglio, che introitano sempre di più, a fronte di un numero sempre minore di lavoratori costretti a turni massacranti e pagati quattro soldi. Gli esseri umani hanno sempre pensato ad avere beni e servizi con poco lavoro. Finalmente abbiamo tecnologie che ce lo consentono, ma se solo coloro che comprano tecnologie si appropriano di quella ricchezza e se la tengono tutta per loro, va da sé che poi tutti gli altri fanno la fame. Si deve creare un criterio completamente nuovo, un nuovo stato sociale, un nuovo progetto di società. Se la caduta del muro di Berlino ha sancito la sconfitta del comunismo, al contempo non ha decretato la vittoria del capitalismo, tutt’altro. Dacché il comunismo sapeva distribuire la ricchezza ma non la sapeva produrre, mentre il capitalismo sa produrre ricchezza ma non sa distribuirla. Ecco perché serve un nuovo modello di società. Un modello che sappia redistribuire in maniera più equa ricchezza e lavoro. Un sistema che sia più solidale con i deboli e più esigente con i forti.

You may also like...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *