Reddito di cittadinanza e pensione sociale non sono ‘la soluzione’.

Non ci sono i soldi per rinnovare i contratti di lavoro e per adeguare le pensioni all’inflazione, non c’è un euro per ridurre le tasse su casa, lavoro e beni di prima necessità, non ci sono i fondi per arginare il dissesto idrogeologico e salvaguardare i beni culturali, non ci sono risorse sufficienti per strade, ponti, scuole, tribunali, caserme e ospedali che stanno cadendo letteralmente a pezzi, non c’è benzina sufficiente per le volanti e carta igienica per le scuole, ma si pensa al “reddito di cittadinanza” e a portare le “pensioni sociali” alla soglia minima di mille euro al mese.
 Siamo per davvero un grande Paese: stipendiare chi non ha un lavoro, pensionare con un assegno di mille euro al mese chi non ha mai versato un euro di contributi all’Inps e senza nulla dare alla collettività. Siamo per davvero un grande Paese. Un Paese che pensa al “reddito di cittadinanza” quando chi un posto di lavoro ce l’ha è sottopagato, con sempre meno diritti e tutele, senza sapere bene se, come e quando andrà in pensione. Una cosa sola è certa, che il suo stipendio è ormai prossimo ad un ipotizzabile “reddito di cittadinanza” e che la sua pensione in un domani, assai remoto, sarà prossima a quella “sociale”. Non è col “reddito di cittadinanza” e con la “pensione sociale” che il Paese si tira fuori dalle paludi dello sfascio economico, sociale ed istituzionale, ma con politiche economiche degne di uno Stato democratico, solidale con i più deboli, severo con i più forti, che sappia creare nuova ricchezza distribuendo equamente reddito e tasse. L’italiano onesto e per bene non vuole essere né disoccupato né assistito, ma chiede un lavoro stabile, sicuro e ben retribuito. Dare ottanta euro prima delle europee, pensare ad una questua di cittadinanza poi e ad una pensione sociale in seguito, rende non un servizio allo Stato e a i veri indigenti, ma solo milioni di voti a lorsignori e milioni di euro a sbafo ai tanti, troppi, “furbetti” che ormai sono talmente tanti da non starci più tutti dentro al “quartierino”. 

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