Reddito di cittadinanza, 4 motivi per cui farà male agli italiani. di Elisabetta Gualmini

di Elisabetta Gualmini, Vicepresidente della Regione Emilia Romagna. Nel mare di promesse, annunci e parolone che gli esponenti del governo “del cambiamento” ogni giorno ci propinano non è ancora chiaro se il reddito di cittadinanza entrerà tra le pieghe del prossimo bilancio, come vi entrerà e soprattutto per chi vi entrerà. Ecco 4 semplici domande che aiutano a fare chiarezza. Niente di complicato.
1. A quale platea di persone sarà diretto il reddito di cittadinanza e con quale valore monetario? A questi destinatari verrà tolto il reddito di inclusione attualmente in vigore in tutta Italia? Cosa ne sarà dei cittadini che oggi ricevono il reddito di inclusione, che ha un valore monetario più basso del presunto reddito di cittadinanza? Si sentiranno cittadini di serie B?
2. Quale sarà il ruolo degli 8.000 comuni italiani oggi impegnati con decine di migliaia di operatori pubblici a ricevere le domande sul reddito di inclusione e a lavorare sui progetti di reinserimento sociale e lavorativo se la competenza sul reddito di cittadinanza passerà ai centri per l’impiego? I comuni chiuderanno i battenti e gli operatori saranno licenziati?
3. Come è possibile assegnare il reddito di cittadinanza solo ai cittadini italiani, cioè solo a coloro che hanno almeno 10 anni di residenza (insieme ad altri requisiti) se tutte le sentenze della Corte Costituzionale, nonché le norme europee dicono chiaramente che nel campo delle politiche sociali, i cittadini con regolare permesso di soggiorno, legalmente residenti e che pagano contributi allo Stato italiano sono da considerarsi alla pari degli altri? I tentativi di alcune regioni (vd. Veneto) di inserire i 10 anni di residenza su altri servizi, come gli asili nido, sono sempre stati bocciati dalla Corte per eccesso di discriminazione. Come si risolve questo problema?
4. La “pensione di cittadinanza” prevede un’elargizione di 780 euro a pensionati “poveri”, che non hanno maturato contributi sufficienti o che non hanno nessuna storia contributiva alle spalle. Come si risolve il problema di equità rispetto a pensionati con una pensione di simile entità che hanno contribuito per anni nella loro vita? Che senso ha investire la maggior parte delle risorse sui centri per l’impiego per il reinserimento lavorativo se il grosso dell’azione del governo sarà a favore dei pensionati? Li rimandiamo alla catena di montaggio?
Aspettiamo pazienti le risposte.

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