Quanto è dura vivere con se stessi ai nostri lidi. di Yvan Rettore

di Yvan Rettore. Oggi comincia la seconda fase di questo travagliato periodo.
In questa fase ancora in atto ho potuto notare diversi aspetti del nostro essere in società.
Parecchi mi hanno fatto piacere e alcuni mi hanno anche sorpreso: dal volontariato alla dedizione del personale medico, dall’umiltà dimostrata da alcuni alla disciplina generalizzata della nostra comunità nel seguire le regole.
Ma tanti, troppi, mi hanno deluso, anche se devo dire che alcuni comportamenti non hanno fatto altro che confermare la superficialità e l’opportunismo ancora purtroppo dominanti nella nostra società.
Confesso però che mi sarei aspettato maggiore dialogo e capacità di interagire nei social.
Invece non è stato così.
Anzi!
Al di là del fatto che coloro che non avevano tempo e voglia di dialogare con te prima del blocco hanno mantenuto inalterato il loro comportamento e dei soliti complottisti improvvisati, ho constatato un incremento notevole di espressioni di cattiveria e di egoismo.
Certo, la stampa del nostro Paese ci ha ubriacati di notizie e talk show in questo periodo, spesso disinformandoci (conformemente ad una consuetudine ormai radicata in Italia) e suscitando ancor più rabbia e apprensione in ognuno di noi.
La classe politica anziché essere unita e compatta in un periodo come questo ha continuato in gran parte ad essere litigiosa e a dare troppo spesso il peggio di sé (cosa peraltro in cui eccelle senza grandi difficoltà).
Ma tutto sommato nessuno di questi aspetti mi ha davvero mortificato, né sorpreso più di tanto.
Tutto secondo un copione ormai largamente collaudato da decenni.
No, niente di questo.
Ciò che mi ha fatto male e pensare è vedere la cattiveria e l’insensibilità di certe persone manifestarsi in un modo davvero indecente quanto inumano.
Ci sono ancora tanti esseri umani che muoiono ogni giorno, tanti malati che soffrono e gente che rischia la propria vita quotidianamente per salvare altre vite.
L’emergenza non è finita.
Anzi.
Ma di fronte a tutto questo cosa ci tocca sentire?
Persone che si lamentano di essere stati agli “arresti domiciliari” o di essere stati “incarcerati”, senza avere la minima idea di cosa voglia dire essere davvero in quelle situazioni e di quante sofferenze e patimenti comportano.
Altre che non ce la fanno più perché non possono più andare all’Happy Hour o al ristorante.
Altri ancora che pensano ai soldi che stanno perdendo ogni giorno e che hanno un conto corrente gonfio di quattrini, ma che non pensano minimamente a coloro che un conto in banca non potranno più manco permetterselo.
Ma tanto ciò che conta è il profitto ad oltranza per certa gente e poco importa se saranno altri a rimetterci.
E stiamo parlando soltanto di due mesi della nostra vita! Due mesi!
Ma la cosa forse più sconfortante di tutte è notare quanta gente non riesca più a vivere nella solitudine e serenità del proprio essere, nel non consumare la propria esistenza ma nel viverla nella pace del tempo che scorre con la giusta lentezza al fine di poterne assaporare ogni momento, come se fosse un vino da sorseggiare piano piano.
Tutte persone ridotte ad automi abituate a correre ogni giorno, costrette a vivere secondo codici non scritti di convivenza sociale in cui l’individuo conta solo per ciò che consuma e che produce.
Il sapere fermarsi, vivere con la propria individualità e accettando anche piccoli sacrifici per il bene di tutti sembra quasi un atto eroico e fuori dal comune mentre invece dovrebbe essere la normalità.
Mentre ci sono ancora persone che muoiono, storie di vite che vengono spazzate via dalla ferocia di un virus.
E non passa giorno che il mio primo pensiero non vada a loro.

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