Perché voto NO al Referendum Costituzionale del 20 settembre.

di Vincenzo Musacchio. “La Costituzione è il fondamento della Repubblica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal Governo e dal Parlamento, se è manomessa dai partiti, verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà”.

Non sono le parole di un giurista ma il discorso al Senato della Repubblica del 27 giugno 1957 di don Luigi Sturzo.

La nostra Costituzione è piena grandi conquiste di diritti e di libertà: “pari dignità sociale”; “rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”; “il lavoro”; “un’esistenza libera e dignitosa” e così via. Grandi valori che entrano nei cuori del Popolo sovrano e che dovrebbero essere garantiti proprio con la centralità del Parlamento.

Oggi, invece, deputati e senatori sono rappresentanti del Popolo solo formalmente, in realtà, sono delegati accomodanti del partito di appartenenza.

L’efficacia del sistema parlamentare, dunque, non dipende dal numero dei parlamentari ma dall’ingerenza e dal ruolo dei partiti politici.

Il 20 e 21 settembre si voterà per il referendum confermativo della riforma costituzionale che riduce il numero di parlamentari pensando di rendere più efficiente il Parlamento.

Non è così. L’Assemblea passerà dagli attuali 630 deputati a 400 e dagli attuali 315 senatori a 200. Vista aritmeticamente sembra una conquista, è invece, una sconfitta per la democrazia. Per giustificare questa falsa conquista si sono addotte motivazioni smentite dalla realtà.

Si dice che in Italia ci sia il più alto numero di parlamentari rispetto a tutti gli altri Stati membri dell’Unione europea. Falso! Rispetto al numero di abitanti l’Italia ha meno deputati di tutti i Paesi europei, esclusa la Francia, la Spagna e la Germania.

Con la nuova riforma l’Italia avrà il minor numero di deputati per abitanti, e ciò a discapito della rappresentanza dei cittadini.

Saranno colpiti le minoranze linguistiche, i partiti più piccoli, le forze all’opposizione nei governi regionali.

Tagliare così il numero dei parlamentari vuol dire tagliare il diritto di scegliere i nostri rappresentanti.

Un’altra motivazione falsa è quella del risparmio economico. Si risparmierebbero 500 milioni di euro in 5 anni. Falso! Si risparmiano 285 milioni pari allo 0,007% della spesa pubblica come dimostrato dall’Osservatorio Conti Pubblici diretto da Cottarelli. Un’inezia. Un conto risparmiare, come giusto, altro conto è tagliare senza criterio.

I costi per far funzionare la democrazia non sono mai sprechi ma investimenti affinché siano garantiti diritti e libertà fondamentali.

Altra motivazione addotta al fine di giustificare la riforma è la maggiore efficienza del Parlamento. Falso! Nessuno dei suoi compiti sarà agevolato, anzi, si complicherà, in primis, il lavoro delle commissioni e bisognerà riscrivere certamente tutti i regolamenti parlamentari. Sarà indispensabile cambiare la legge elettorale in senso proporzionale soprattutto per tutelare quelle minoranze che altrimenti sparirebbero dall’arco costituzionale. Sarà necessario cambiare la Costituzione per l’elezione del Presidente della Repubblica. Di tutto questo non c’è ancora nulla, quindi, siamo di fronte ad una riforma scritta male e attuata al buio.

Oltre queste distorsioni, la cosa, a mio giudizio, più grave è la scelta di unire il referendum al voto amministrativo in tante Regioni e Comuni in un’unica data talmente ravvicinata da rendere di fatto impossibile per i cittadini un’adeguata informazione.

Si voterà senza avere elementi di conoscenza necessari per giudicare se questo taglio di parlamentari proposto sia una scelta giusta o errata. Lo affermo con piena convinzione: siamo di fronte ad una riforma senza alcuna motivazione sostenibile tranne quella qualunquista delle “poltrone” inutili e della “casta” sprecona che peraltro non sono minimamente intaccate.

Invece degli sprechi si riduce la democrazia.

Andiamo a incidere sulle nomine di dirigenti esterni che si sommano alla costosissima burocrazia già esistente o al continuo proliferare di società a partecipazione pubblica inutili o ancora sulle commissioni fatte nascere per gli amici, o sulle tantissime consulenze costose e fuori dal controllo.

Si vada a vedere dove stanno gli sprechi reali e ci si accorgerà che questi non dipendono dal numero dei parlamentari.

Tutto questo non si tocca ma si penalizza l’unico organo democraticamente eletto.

Si umilia ancora una volta e pesantemente il Parlamento trasformandolo in un’assemblea superflua, mentre, all’Italia servirebbe il contrario e cioè il ritorno alla centralità del Parlamento.

Una vera democrazia è forte se realmente rappresenta i cittadini attraverso organismi autorevoli e riconosciuti cui i cittadini rivolgono la loro fiducia.

Ricordiamoci che la democrazia parlamentare è stata una conquista di libertà donata dalla Resistenza con tanti morti e tanta sofferenza!

Per questi motivi, con animo sereno mi accingo a votare convintamente NO!

Vincenzo Musacchio, giurista e professore di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). E’ ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.

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1 Response

  1. Alex ha detto:

    I tantissimi gonzi che voteranno si al referendum, illusi dalla riduzione dei “costi della politica”, non si rendono conto di alcuni aspetti della questione.
    La finanza glebalista ha interesse a depotenziare la politica e con essa ogni possibile controllo democratico sul suo operato. Meno parlamentari avrà, più le sarà facile controllarli. Se i parlamentari sono un costo, non sarebbe sufficiente dimezzargli lo stipendio? E’ vero: la democrazia ha un costo. Di conseguenza, occorre forse preferire la dittatura? Una volta avviato questo processo, via via taglieranno il numero dei parlamentari. Alla fine sarà tagliato il parlamento. Al suo posto, ci sarà qualche più pratico “comitato tecnico” o qualche “task force”, come del resto sta già avvenendo.
    Questo si vuole?

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