Perché Orban ha conquistato la maggioranza assoluta?

di Agostino Spataro. Nelle settimane scorse, con l’uscita dei parlamentari ungheresi del Fidesz dal gruppo del Partito popolare europeo (Ppe), si è consumato il divorzio fra Viktor Orban e il raggruppamento dei popolari che fa riferimento al partito di Angela Merkel.
Victor Orban, fondatore e leader maximo del Fidesz, per la quarta volta a capo del governo magiaro, ha ritirato la sua delegazione, forse per prevenirne l’espulsione, ed è alla ricerca di nuove alleanze per creare un nuovo raggruppamento politico e parlamentare nell’area del centro-destra europeo.
Una crisi di appartenenza, sfociata nella rottura (anche senza evidenze drammatiche), in un distacco irreversibile – e da non sottovalutare – foriera di conseguenze, anche serie, sugli equilibri interni allo schieramento prevalente nel Parlamento europeo.
Così come vanno valutate le probabili conseguenze economiche dell’atto compiuto da un piccolo Paese, in difficoltà, che dal punto di vista economico, commerciale dipende più dalla Germania che dalla UE.
Vedremo gli sviluppi, anche per ciò che riguarda i risvolti con la situazione italiana, dove figurano almeno due partiti di centro-destra (Lega e Fratelli d’Italia) assai interessati alle evoluzioni di Orban.
Sembra essersi delineato un nuovo scenario sull’asse Varsavia- Budapest- Milano attorno al quale aggregare altre forze europee conservatrici e di centro-destra.
Nella nuova formazione sarà imbarazzante far posto alle formazioni più nettamente di destra di origine neofascista quali il partito della Le Pen in Francia e FdI di Giorgia Meloni in Italia.
Certo, si tratta di supposizioni, d’ipotesi da verificare.
Tuttavia, non è da escludere l’offerta di una sponda politica ai movimenti spontanei (o meno) di rivolta sociale nati dalle conseguenze drammatiche della pandemia che in Europa è stata gestita piuttosto male.

Orban amico e nemico dell’ungherese George Soros
In quanto a fiuto politico Orban ha dimostrato di possederne tanto. Ricordo che a metà degli anni ‘90,
quando fece le prime apparizioni questo giovanotto, sostenuto dal miliardario George Soros (alias Gyorgy
Schartz, ebreo ungherese di Budapest e noto speculatore della finanza internazionale), chiesi ragguagli al
mio amico Robert Laszlo, ebreo ungherese di Pecs anch’egli costretto a cambiare il cognome di nascita-
Roth, per salvarsi dalle retate nazifasciste, grande giornalista e personalità influente, di fiducia del vecchio
regime e poi del partito socialista, il quale mi rispose: “Attenti a questo giovane! E’ ambizioso, ha fiuto
politico e vede lontano… E sa comunicare, sa parlare al pubblico…”
Robert aveva ragione. Un po’ questo è stato, è Orban il cui ruolo, qualunque sia il giudizio, non si puo
liquidare con la solita accusa della “democrazia illiberale”, per altro da lui coniata senza chiarirne bene il
senso e la portata. In realtà, si tratta di un’assurdità gratuita, ad effetto, poiché alla democrazia non può
essere accostato un aggettivo così degradante come “illiberale”.
Un ossimoro, una contraddizione evidente che ancor più complica la lettura corretta dell’attuale realtà
politica ungherese, a molti incomprensibile. Anche perché sull’Ungheria si sconta un deficit di conoscenza,
di corretta informazione, locale ed esterna.

Nel senso che si continua a polarizzare l’attenzione sull’effetto ossia sull’enorme potere acquisito da Viktor
Orban e si trascurano le cause che lo hanno determinato.
Oggettivamente, non è agevole scriverne specie per chi, venendo da fuori, si accontenta di farsi raccontare
(anche per telefono) i fatti salienti dall’amico giornalista magiaro per confezionare il pezzo sulla falsariga di
un collaudato cliché. Senza spiegare al lettore europeo come e perché Viktor Orban, alla fine, riesce perfino
ad assicurarsi la maggioranza assoluta (l’ultima volta nel 2018) del voto popolare.
L’Ungheria è un piccolo Paese (10 mln di abitanti) con gravi problemi sociali ed economici e una situazione
politica squilibrata che, però, si muove come se fosse una media potenza. Ha promosso il gruppo detto di
“Visegrad” (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) che ha consentito a Orban e agli altri leader
(oggi, soprattutto il polacco) di esercitare una pressione, al limite della rottura, verso l’UE che pure è molto
generosa nei finanziamenti nei loro confronti.
Così come, Orban non disdegna la cooperazione con alcune superpotenze mondiali (extra Nato) addirittura in
settori strategici: con la Russia (gas e centrali nucleari), con la Cina (“Nuova via della seta e tecnologie
informatiche). Una politica di diversificazione che in un’economia di pace (nella quale siamo) non dovrebbe
essere una colpa. Semmai un segno di distensione, di convivenza pacifica.
Tutto ciò, riuscendo a mantenere buoni rapporti con gli Usa di Trump e con Israele di Netanyahu. Meno con
l’intellettualità ebraica ungherese che è decisamene all’opposizione.
Inoltre, c’è da tener conto che nella piccola Ungheria dietro agli attori locali, protagonisti dello scontro
politico, intervengono forze esterne potenti e munifiche che mirano a condizionare la vita politica ed
economica del Paese per portarlo dalla parte dei loro interessi strategici. Insomma, la questione ungherese si
gioca su più tavoli!

Insoddisfacenti i risultati dei governi della sinistra
Una situazione davvero complessa che nemmeno chi- come me che la vive da oltre mezzo secolo per ragioni
familiari- riesce a decifrare, a leggere correttamente.
A volte capita di parlarne con persone che accusano Orban di clientelismo, di favoritismo, di autoritarismo.
Avranno pure ragione, ma non spiegano perché questa persona così negativamente dipinta alle elezioni
democratiche (non ci sono state mai grosse accuse di brogli) riesce a prendere la maggioranza dei voti degli
ungheresi. Taluni svicolano per la tangente, riproponendo la solita solfa di un popolo magiaro attratto da una
ideologia destrorsa, neo razzista, ecc. Ovviamente, esiste una componente di tal fatta. Come del resto in altri
paesi, in Europa e nel mondo, dove la paura dell’omologazione culturale e consumistica, dell’estinzione delle
identità nazionali, etniche induce molti a rifugiarsi nel cd “sovranismo” che ancora troneggia, come principio
inalienabile, nelle Costituzioni democratiche, prima fra tutte in quella italiana che assegna la sovranità al
popolo. Oggi, questa attribuzione é tanto bistrattata, schernita, forse perché non se ne apprezza il valore
storico, morale e politico. La sovranità al popolo è la più grande rivoluzione politica della storia umana!
Chiaro o no?
Riflettendo sulla storia travagliata del popolo ungherese- uscito da mezzo secolo di regime a partito unico,
dalla tragica insurrezione del ’56, nata come protesta degli operai (comunisti) dell’isola di Csepel contro lo
stalinista Rakosi- si rileva che dopo l’89 ha dato, per ben tre volte, la maggioranza ai partiti e agli uomini
della sinistra provenienti dal vecchio Posu kadariano. Quindi non c’è stata una pregiudiziale antisocialista.
Evidentemente, i risultati dei governi di sinistra non furono soddisfacenti e una parte consistente
dell’elettorato cambiò cavallo e optò per le posizioni di Viktor Orban che, per quanto demagogiche e
spregiudicate, continuano a intercettare il malcontento, le preoccupazioni, a sintonizzarsi con le paure e le
aspirazioni di una gran parte della popolazione.
In politica nulla nasce per caso o per la mala sorte! Ogni fenomeno ha una sua ragion d’essere, una
spiegazione. Basta cercarla. Dai dati della tabella allegata si possono notare le parabole elettorali dei due
principali partiti fra loro alternativi.
Il Partito socialista (Mszp) che parte da un 33% del 1994, sale al 43% nel 2006 e crolla all’11% nel 2018,
mentre il Fidesz (di Orban) parte da un 29% nel 1998, sale al 52% nel 2010 e si attesa al 49,5% nel 2018.
Comunque la si giri il dato è impietoso: 49,5% Fidesz , 11,9% Mszp.

Bertalan Tòth, leader del Mszp

In Ungheria non c’è stato un pregiudizio antisocialista
Da circa mezzo secolo, osservo, senza interferire, l’evoluzione della realtà ungherese e i cambiamenti
avvenuti sia nella fase (terminale) del vecchio regime (1970-90) guidato dalla figura pragmatica (realismo
socialista) di Janos Kadar, sia nel trentennio post-comunista (1990- 2020) caratterizzato da governi
democratici (espressioni di libere elezioni) che si sono alternati alla guida del Paese..
Cambiamenti radicali riguardanti il regime politico, le alleanze internazionali – a carattere militare ed
economico- e un po’ anche i costumi e le tendenze culturali.
Fino a un certo punto si realizzò sorta di “democrazia dell’alternanza” che s’interruppe quando il baricentro
della geografia elettorale si spostò a favore di Orban il quale, forte della maggioranza assoluta, proclamò la
nascita della “democrazia illiberale”.
Nel dettaglio dalla tabella n. 1 , si nota che per ben quattro volte (1994,1998, 2002, 2006) il neo Partito
socialista è risultato il primo partito e per tre volte i suoi esponenti, provenienti dalle fila del Posu ossia dal
partito degli ex comunisti, hanno guidato i governi del paese.
La qualcosa dimostra che il popolo magiaro cambiò l’orientamento elettorale non per una pregiudiziale
antisinistra, ma per un giudizio politico sulla condotta dei governi della sinistra che si mostrano poco
impegnati sul fronte dei problemi dei diritti sociali e assai di più nella colossale opera di privatizzazione, a
prezzi stracciati, del patrimonio pubblico, industriale e d’altro tipo, a favore di certi gruppi locali “amici” ed
esteri, soprattutto dell’area del marco tedesco.

Quando la “sinistra” governa per conto della destra
Spiace rilevarlo, ma l’impressione che se ne trae è quella di un comportamento utilitaristico, furbastro da
parte delle oligarchie neoliberiste le quali hanno appoggiato e poi usato i governi di sinistra per attuare
politiche di destra. Come è successo in vari paesi europei, dove anche la sinistra “riformista”, socialdemocra-
tica è stata ridimensionata, addomesticata e posta al servizio della finanza e del grande capitale speculativo.
A questa specie di sinistra, cui sono stati cambiati i connotati politici tradizionali, sono state
affidate importanti funzioni di governo per fare il “lavoro sporco” che alla destra risulterebbe difficile fare.
Una funzione innaturale, perversa, tanto da far dire che in Europa c’è una “sinistra” che governa per conto
della destra .
Fatte le privatizzazioni esplose la crisi della politica della sinistra ungherese che spianò la strada all’avvento
del rampante Viktor Orban, ben visto dai democristiani tedeschi e sostenuto dal suo mentore George Soros, oggi rinnegato e tenuto alla larga. Chissà che cosa di male avrà scoperto Orban in Soros che noi non
sappiamo?
Per un certo tratto anche il Jobbik, formazione ultranazionalista, è stato alleato/concorrente di Orban.
Insieme al governo le due formazioni di centro-destra attuarono programmi che da un lato davano “mano
libera” e super agevolazioni fiscali agli investitori e dall’altro lato perseguivano una chiusura assurda,
politica e culturale, di stampo reazionario, mirata a riaccendere i frustrati sentimenti nazionalistici latenti.
Ovviamente, anche i “sacri furori” di Jobbik non fermarono, anzi agevolarono, i piani di conquista politica di
Orban che si affrancò dall’alleanza con Jobbik grazie alla maggioranza assoluta conquistata nelle ultime
elezioni legislative.
Oggi, Jobbik fa “autocritica” ed è corso a iscriversi al “Demokratikus Koaliciò”, il fronte eterogeneo anti
Orban, accanto al partito socialista suo acerrimo avversario, per non dire nemico. Dunque, tutti contro
Orban alle prossime elezioni legislative del 2022. Nulla è scontato. Orban ha messo in campo la sua
poderosa macchina del potere e del consenso. Il “fronte”potrebbe vincere la guerra elettorale, ma perdere il
dopoguerra della gestione del governo. Vedremo.

Unione Europea: la grande incompiuta
Il mutato scenario indusse gran parte dell’opinione pubblica ungherese, specie delle campagne,
della pustza profonda, a rifugiarsi nel nazionalismo, anche esasperato, che è una tendenza di ritorno
soprattutto in quelle situazioni dove i popoli più piccoli (demograficamente) si sentono minacciati, nelle loro
identità culturali e storiche, dal dilagare della (in)civiltà del neoliberismo globalista che sta imponendo il
livellamento verso il basso delle società, dei ceti sociali, anche medio/ alti, costretti ad adorare, per
sopravvivere, i nuovi idoli del “mercato”, del denaro, espressioni di una concezione malefica del progresso
che sta “resettando” (come i suoi stessi teorizzatori ammettono) il mondo secondo i suoi interessi culturali e
materiali.

Viktor Orban e Matteo Salvini

Il nazionalismo, dunque, come paura verso una minaccia concreta. E la paura.- si sa- può generare chiusure
verso l’altro, reazioni inconsulte, irrazionali che facilmente si aggrappano a chi le agita demagogicamente,
come un combattente strenuo che difende la cittadella assediata.
Oggi, tutto ciò accade in Ungheria, in Polonia, ecc. Se non si dovesse correggere la rotta neoliberista e
sconfigge la sua pretesa di dominio, tali tendenze potrebbero consolidarsi e dilagare anche in altri Paesi
europei, con conseguenze imprevedibili, sicuramente assai pericolose per la convivenza pacifica, per la
tenuta democratica delle nazioni, del continente.
E la “sinistra” che fa, che farà? Quale Europa vuole: quella dei banchieri e degli affaristi o quella dei popoli,
democratica e socialmente equa?
Si tratta di due progetti alternativi, ognuno dovrà scegliere da che parte stare. L’unica cosa che non si potrà
più fare è quella di restare, a gambe divaricate, con un piede in uno e un piede nell’altro. Questo è il punto
politico dirimente in Ungheria e nel resto dell’Europa, del mondo.
Il gioco, dunque, è davvero grande, complesso. Non è una faccenda che riguarda soltanto gli ungheresi, gli
intrighi di potere dominanti nella politica del Paese, ma la prospettiva generale, politica e culturale, di questa
Unione europea, purtroppo, subalterna e incompiuta.

Ungheria, le otto elezioni legislative nazionali
La prima consultazione si ebbe nel 1990 e fu v inta dal Forum Democratico di Joszef Antall che divenne
primo ministro, con l’appoggio del partito dei “piccoli proprietari contadini”.
Successivamente, ve ne sono state altre sette di cui:
tre furono vinte dal Partito socialista (Mszp, aderente all’I. S.) negli anni: 1994, 2002, 2006. Capi di
governo furono, nell’ordine,: Gyula Horn, ex ministro esteri governi vecchio regime; Peter Medgyess ,
seguito da Ferenc Gyurcsany (ultimo segretario nazionale della gioventù comunista del vecchio regime;
quattro ( 1998, 2010, 2014, 2018) sono state vinte da Fidesz e alleati , con primo ministro sempre Viktor
Orban, fondatore e leader del Fidesz.

Tabella n. 1
Andamento del consenso elettorale dei due principali partiti alternativi: 1994-2018
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Anno Partito socialista Fidesz
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1994 33% Inesistente
1998 33,9 % 29, 4%
2002 42% 41%
2006 43% 42%
2010 19,3% 52,7%
2014 25% 44,8%
2018 11,9% 49,5%
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Nota a margine.
Politicamente sono assai lontano dalle idee di Viktor Orban che- come scritto in altro articolo- ebbi la

ventura di salutarlo in due occasioni ufficiali: a Roma durante una visita in Vaticano a Papa Giovanni Paolo
II e a Budapest durante la visita di Massimo D’Alema nelle vesti di Presidente del consiglio italiano.
Aggiungo che a differenza delle due persone citate che- pur avendo intrapreso percorsi assai diversi- si
dichiarano entrambe ex comunisti, io sono quel che sono stato e che spero di restare: un comunista.
Ho scritto questa “cosina” affatto esaustiva e senza pretesa alcuna, solo per offrire un punto di vista
personale, un contributo alla comprensione di taluni aspetti della realtà politica ungherese che si dibatte fra
una democrazia debole e forti tendenze autoritarie.
Infatti, stiamo parlando di una democrazia giovane, da consolidare e far crescere, in un Paese che ha avuto
una storia di sconfitte. Dopo un lungo periodo di servaggio sotto l’impero “austro-ungarico”, subì la sconfitta
della prima guerra mondiale che pagò con un alto tributo di morti e con la perdita di gran parte del suo
territorio nazionale, come deciso con il trattato di Trianon. Una “punizione” davvero eccessiva!
Nel 1919 ci fu un sussulto rivoluzionario, la breve parentesi della “repubblica dei consigli” di Bela Kun, che
fu repressa nel sangue. A questa seguì un periodo di gravi turbolenze, di repressioni sedate dalla ventennale
dittatura dell’ammiraglio fascistoide Horti, amico e subalterno di Benito Mussolini. L’ammiraglio, in cerca di
una rivincita sulla storia, condusse l’Ungheria all’abbraccio, mortifero, con il nazifascismo e al disastro della
seconda guerra mondiale. Una lunga storia di sconfitte quella dell’Ungheria che continuò anche dopo la
vittoria degli alleati che a Yalta si spartirono l’Europa, assegnando i paesi del centro-est all’area d’influenza
dell’Urss.
Il nuovo regime di chiara obbedienza staliniana subì il primo scossone nel 1956 con la rivolta operaia e
popolare che sarà repressa nel sangue dagli eserciti dei paesi del Patto di Varsavia. Dopo il ’56, Janos Kadar
e i nuovi esponenti del regime tentarono la via delle riforme moderate, adottando una linea pragmatica e tollerante che arrivò al 1989, anno del “crollo” del muro di Berlino che, nel volgere di poco tempo, si
trascinò nel crollo tutti i regimi appartenenti al Patto di Varsavia.
A conti fatti, l’Ungheria ha iniziato a conoscere, a praticare il sistema democratico solo negli ultimi 30 anni.
E si sa, l’esercizio della democrazia non è cosa facile e richiede tempo e il rispetto di tutte le espressioni
politiche e culturali e la libera partecipazione dei cittadini.

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