Partiti e movimenti antisistema: prove generali per l’ennesima ammucchiata elettorale.
Come pure a prima vista potrebbe sembrare logico realizzare delle coalizioni per riuscire ad avere degli eletti.
Il problema è che qualsiasi protesta diventa fisiologica al mantenimento del sistema se non si traduce con interventi e azioni concrete su tutto il territorio in difesa dei diritti degli ultimi, dei diritti civili, sociali e ambientali.
E da questo punto di vista bisogna ammettere che l’assenza di gran parte delle forze politiche oggi presenti a Roma da tali contesti risulta piuttosto evidente.
Non si può infatti pretendere di ottenere un consenso elettorale concreto, numericamente significativo, diffuso e duraturo, limitandosi al ricorso quotidiano (anche massiccio) dei social o di altri strumenti offerti della rete come possono essere youtube o siti di informazione alternativi al mainstream.
Non basta perché alla fine della fiera si nota che in quasi tutti i punti di criticità del Paese ad essere presenti e a lottare davvero sono soprattutto realtà locali svincolate dai partiti e sindacati di base.
È ovvio che se manca questa militanza attiva, speranze che tali partiti e movimenti possano ottenere un risultato significativo alle prossime elezioni legislative appare alquanto dubbio.
Ma oltre a questo aspetto fondamentale a remare contro le ambizioni di tali entità permane l’incapacità di operare nella realizzazione di un unico soggetto politico, con un unico programma, un unico simbolo e quindi una rete coordinata di azioni da attuare sull’insieme del territorio in difesa dei diritti e nella lotta contro i soprusi di uno Stato che appare ogni giorno meno democratico e assente dal dibattito sociale e ambientale.
L’elettorato oggi è costituito da una percentuale importante di anziani che non hanno grande dimestichezza con la rete e che hanno un peso elettoralmente determinante da una parte e da una componente notevole di cittadini che vedono nelle coalizioni di formazioni da prefisso telefonico soltanto un tentativo disperato di riuscire a strappare qualche eletto in parlamento dall’altra.
Quindi se non verranno superati questi limiti evidenti, temo proprio che nessuna di queste formazioni politiche riuscirà a portare a casa dei risultati significativi e l’esperimento “Ingroia” di alcuni anni fa come quello più recente (e in definitiva dannoso per il Paese e suicidario per la Sinistra) di “Leu” avrebbero dovuto insegnare qualcosa in proposito.
Potrebbe, anzi dovrebbe, essere iniziata l’ultima estate di Luciana Lamorgese al Viminale. Tra un anno, di questi tempi, saranno già in sella un nuovo esecutivo e soprattutto un nuovo ministro dell’Interno che, si spera, riporteranno in cima alla lista delle priorità il contrasto dell’immigrazione clandestina. Da quando, il 5 settembre 2019 l’allora premier Giuseppe Conte se l’è portata nella squadra di governo per sostituire Matteo Salvini con cui aveva da poco rotto, la Lamorgese non si è mai curata di fermare gli sbarchi. Anzi. Nel giro di pochi giorni i porti, tenuti chiusi per un anno, sono tornati aperti a tutti, le navi delle Ong hanno ripreso a fare avanti indietro dalle coste del Nord Africa a quelle del Sud Italia e decine di migliaia di clandestini hanno trovato accoglienza nel Belpaese. Nemmeno l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi ha fatto cambiare musica. Nulla a che vedere con gli arrivi registrati ai tempi Angelino Alfano (170mila arrivi nell’arco di un solo anno, il 2016), ma il lassismo è pressoché lo stesso. E l’emergenza è tornata ad essere endemica.
Ma alla LAMORGESE non interessa è una donna robot
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L’uomo del Britannia = DRAGHI – chiarisce che non c’è spazio per un passaggio parlamentare per ciò che riguarda l’invio di armi in Ucraina. Draghi sta volutamente alzando la posta in gioco per arrivare ad un casus belli in grado di far cadere il suo governo. A questo punto, sta a Conte raccogliere il suo invito e andare fino in fondo per staccare la spina all’esecutivo. CONTE? Ma chi è????
C’è da sgomberare il campo da un equivoco che viene persistentemente ripetuto da alcuni lettori. Se la legislatura termina prima del 24 settembre, i deputati non perdono alcun vitalizio. Perdono solamente i contributi versati in questo mandato che comunque potrebbero ricevere soltanto al raggiungimento dell’età pensionabile, ovvero a 65 anni. E i deputati non sono nemmeno sicuri di dove saranno tra un anno o due, figuriamoci se si pongono il problema di cosa accadrà da qui a 10 o 20 anni. Si tratta quindi di un falso problema. Questa classe politica ha esaurito il suo consenso interno e non ha protezioni internazionali. Hanno preoccupazioni molto più gravi di quelle relativi alla perdita dei contributi. I loro problemi sono che dopo la fine della legislatura si ritroveranno completamente soli e con la possibilità che emergano nuove forze politiche in grado di perseguire tutti gli scandali e crimini commessi negli ultimi due anni. Il problema per loro è salvare la pelle politica e fisica. Altro che contributi.
Megyn Kelly è una giornalista notoriamente appartenente all’apparato del mainstream americano. Oggi si trova a Roma per riportare le crescenti indiscrezioni che circolano in Vaticano di probabili e vicine dimissioni di Bergoglio. Se i media americani che occupano un posto particolare e privilegiato tra gli organi di propaganda dello stato profondo stanno seguendo questa situazione così da vicino, le probabilità che Bergoglio possa presto uscire di scena sono alte.