Pane, amore e fantasia…

di Maria Pia Caporuscio. Seduta sul dondolo non riesco a concentrarmi nella lettura, mi arrivano le voci concitate provenienti da un tavolo del bar sottostante. Il mio terrazzo si affaccia proprio sopra i tavolini allineati sul marciapiedi, protetti da una bella siepe di pitosforo, che li isola dagli sguardi dei passanti. E’ un bel pomeriggio assolato, come possono essere piacevoli le giornate romane in questi mesi d’autunno. A parlare a voce alta sono quattro uomini che si sbracciano mentre sorseggiano con evidente piacere una tazzina di caffè.
Dai loro discorsi capisco che si tratta di pensionati di una grossa azienda, la “Fatme” dove un tempo lavoravano cinquemila persone. Ricordano i bei tempi andati quando ogni mattina si ritrovavano in questa azienda metalmeccanica, dove molti romani avevano trovato lavoro. Ne parlavano con un accorata nostalgia da suscitare la mia attenzione. Parlavano del loro lavoro con entusiasmo, quasi con affetto ricordando gli altri colleghi con i quali avevano condiviso l’esistenza… “…noi ci si alzava la mattina per recarci sul posto di lavoro con la certezza che nessuno ti poteva cacciare… adesso vanno dicendo che è triste avere un lavoro fisso… per noi il posto di lavoro era una seconda famiglia… eravamo attaccati al nostro lavoro come fosse stato un figlio… ma come si è potuti arrivare a disintegrare così il mondo del lavoro?…” …affacciata alla ringhiera osservo i quattro pensionati che ora si sono alzati in piedi, mentre tutti e quattro quasi contemporaneamente, tirano fuori il portafogli per pagare la consumazione. Ne viene fuori una piccola confusione poi è quello che sembra il più giovane, a pagare per tutti. Sulle loro facce una sorta di amara rassegnazione. Li vedo allontanarsi in silenzio mentre un brivido gelido mi percorre la schiena. Mi sorprendo a pensare quanta più logica, consapevolezza e intelligenza possiedono quei quattro pensionati, rispetto ai “laureati alla Bocconi” che affollano il nostro Parlamento!

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