Occhi di bambino. di Clemente Luciano

di Clemente Luciano. Gli occhi dei bambini arrivano sempre dritti ai cuori, senza possibilità di scampo per chi li guarda. Così nel giorno della Memoria di quella immane tragedia che fu la Shoah, può forse assalire il timore che le parole del vocabolario non siano sufficienti per dire tutto il dolore e l’orrore che si consumò nei lager nazisti.

Ed è proprio allora che ci devono venire in aiuto le immagini delle vittime, per mantenerne vivo il ricordo.

“Quando l’impossibile è stato reso possibile, è diventato il male assoluto, impunibile,  imperdonabile”, scriveva Hannah Arendt,la grande scrittrice, storica e filosofa tedesca, vittima delle persecuzioni naziste, nel suo saggio “Le origini del totalitarismo”. Analogamente scrive Primo Levi nel suo memorabile libro “Se questo è un uomo”, nel narrare la sua prigionia ad Auschwitz: “E’ avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo che abbiamo da dire”.

Ed infatti, e purtroppo, “la banalità del male” si è ripetuta: a Sarajevo, in Cambogia, in Ruanda altri genocidi, altre “pulizie etniche”. Se questo è accaduto di nuovo è stato perché l’Uomo è ricaduto in quel suo troppo frequente “Sonno della Ragione”, perché troppo facilmente ha smarrito (e in qualche caso “voluto” smarrire )la Memoria di quello che fu posto in essere in quei campi della Morte.

Così, guardando le immagini dell’orrore e con l’esercizio costante del pensiero, possiamo tentare di salvarci dal conformismo acritico in cui ogni cosa diventa indifferenza, facile anticamera all’odio razziale, negazione dell’idea stessa del concetto di umanità. Ed ancor di più possono aiutarci le immagini di quegli occhi dei bambini che in quei campi dell’orrore passarono.

Sono queste immagini che meglio ancora ci fanno capire, riflettere, ricordare e mantenere il ricordo. Perchè anche i bambini, oltre a uomini e donne, furono portati via. Furono portati soprattutto a Terezin, dove fu concentrato  il maggior numero di prigionieri bambini. La maggior parte di essi morì nelle camere a gas di Auschwitz. Forse ogni 27 gennaio, ma in realtà tutti i giorni, dovremmo far scorrere davanti ai nostri occhi le decine e decine di foto di bimbi, spesso piccolissimi, ripresi nella normalità di un’esistenza che, di lì a poco, sarebbe stata troncata.

Risultati immagini per disegni dei bambini nei campi di concentramentoGuardare quei fogli, quei disegni che sono rimasti. Sprazzi di quotidianità ancora non cancellati, ricordi di affetti, di mura scolastiche, diventate barriere di filo spinato. Le cifre ufficiali (approssimative) ci raccontano di milioni di vittime bambine. Conoscere i loro volti, incrociare, anche solo per un attimo e anche solo in foto quegli sguardi dolci e inconsapevoli e soffermarci sui loro sorrisi innocenti, ci farebbe forse sentire l’eco delle loro voci, confonderle con quelle dei nostri bambini, che proprio adesso, nell’altra stanza, ridono e scherzano come è per la loro età.

Facendo riflettere, noi “grandi” su ciò che è stato, su ciò che potrebbe essere di nuovo, di noi, dei nostri bambini di tutti i popoli se la Memoria scomparisse. Provare a dare un volto a quel numero di morti bambini, ci può dare la possibilità di restituire un brandello di dignità ai “più deboli fra i deboli” che è stato travolto dalla bestialità di una follia ragionata e dall’indifferenza  di quanti fingevano di non sapere.

Questa comprensione della sofferenza può far sì che il tempo passi, sì, ma il ricordo rimanga. Quanti universi perduti, infanzie violate, occhi di bambini smarriti che da quelle foto s’incrociano con i nostri e che dovrebbero, scuotere coscienze. Attraverso i loro occhi possiamo/dobbiamo vedere l’Altro e il Debole e il Bisognoso, perchè i bambini sono i soggetti più indifesi e “meno produttivi” nell’orrendo linguaggio di annientamento di un popolo.

Molti di quei bambini non arrivarono nemmeno nei lager, stipati come bestie nei convogli. Altri furono immediatamente avviati nei forni crematori appena arrivati; altri ancora furono smistati nei laboratori per essere sottoposti ad orrendi esperimenti scientifici. Dei tantissimi bambini che transitarono in quei campi se ne salvarono solo poche centinaia. Molti di loro nei campi avevano disegnato il loro mondo e la loro vita perduta, le loro case, i giardini con i fiori, le mamme e i papà, una farfalla, simbolo di libertà. Quella libertà e quella vita che loro non ebbero, che noi potremmo non avere senza la memoria, senza la comprensione e la solidarietà verso l’Altro, il diverso nel colore, nell’etnia, nella religione.

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