Morti sul lavoro, la strage silenziosa.

di Clemente Luciano. Ha colpito un pò tutto il Paese quella morte, quell’incidente sul lavoro nel quale ha perso la vita Luana D’Onofrio, una ragazza di 22 anni, mamma di un bambino di 5, restata impigliata in una macchina in una fabbrica tessile in provincia di Prato. Quella notizia ha colpito la gente forse perchè era così carina, quella ragazza, forse perchè così giovane, forse perchè così piena di sorriso, di futuro, di felicità, come le sue foto su Instagram mostravano.

Anche lei stava vivendo questo tempo nuovo e straordinario, questo tempo pandemico che ha sospeso le nostre vite. Ed in questo tempo pandemico anche i modelli di lavoro stanno cambiando, con nuovi strumenti utilizzati in maniera nuova,con la parola “lavoro” coniugata con altre parole, come didattica a distanza e smart working, e l’Uomo sempre più “programmato” da un computer, da un algoritmo, da un’attività immateriale da svolgere alla scrivania.
Tempi di telelavoro, come è successo nell’ultimo anno, tempi di video riunioni su zoom, di meetings su teams, tempi in cui l’Uomo e la Macchina sembrano non doversi incontrare se non da lontano, attraverso il filtro della telematica.
E proprio la strabiliante evoluzione tecnologica,in forme sempre più raffinate,della Macchina,porterebbe a pensare che morire sul lavoro è solo memoria,terribile,di epoche che furono,quelle epoche raccontate nei romanzi di Dickens e di Zola,di Steinbeck e Cronin o di London,e in Italia da Verga o Bianciardi. Oppure memoria di film tipo “Tempi Moderni”, nel quale, Charlot, in quella celeberrima sequenza,mentre è intento alla catena di montaggio,finisce letteralmente ingoiato da un meccanismo e si ritrova intrappolato tra le ruote dentate di un congegno che,come un enorme stomaco d’acciaio,lo ingurgita e lo digerisce e poi lo butta fuori,un po’ sbattuto ma tutto sommato illeso.

Il film di Charlie Chaplin,uscito 85 anni fa,ci narra,appunto,le peripezie di un operaio che viene fagocitato dalla macchina e ci racconta simbolicamente dell’alienazione della fabbrica,che risucchia la mente,prima ancora del corpo,a causa di un tipo di lavoro in cui l’uomo diventa parte del meccanismo fino a diventare un tutt’uno con esso.Tutto questo dovrebbe essere solo memoria,si diceva.

Ed invece ancora oggi,ancora nel 2021,torniamo a scoprire che,alla faccia della tecnologia e della telematica e dell’informatica,la lotta tra uomo e macchina è una battaglia che si continua a combattere,in Italia e nel mondo,e che non finisce come nel film di Chaplin,ma con le macchine che possono ancora “mangiare” le persone,non solo simbolicamente ma anche letteralmente.Scopriamo,allora,che non è cambiato niente,scopriamo che un posto di lavoro,che dovrebbe essere luogo di vita,può diventare un luogo di morte, e che i nostri tempi moderni, tanto moderni non lo sono affatto.

E lo scopriamo attraverso la storia di quella ragazza,di Luana,così giovane e graziosa che al solo guardarla viene da pensare:ha tutta la vita davanti,con i suoi sogni e le sue speranze. L’immagine del futuro,insomma. E invece leggi di lei come dell’ennesima morte sul lavoro,proprio a pochi giorni di distanza dal 1° maggio,dalla ricorrenza che dei lavoratori ricorda i diritti e le lotte.

E’ passato quasi un secolo dal film di Charlot;ed in questo secolo ci sono state incredibili innovazioni industriali e tecnologici,autostrade informatiche,fibre ottiche,dati che viaggiano a velocità sempre maggiore,dispositivi così sofisticati da sconfinare nel magico e nel misterioso,mutamenti sociali,economici, politici,di costume. Ma per Luana D’Orazio e per tutti quelli che come lei ancora ogni giorno rischiano la vita lavorando,non è passata nemmeno un’ora.

È sempre lo stesso tempo,un tempo in cui il corpo dell’uomo è ancora in balia della Macchina,è un corpo fragile,esposto alla potenza della Macchina,un tempo capace di fagocitare in pochi minuti la vita di un operaio,la sua famiglia,i suoi sogni e bisogni. E il tempo dei diritti scorre ancora più lento rispetto a quello della tecnologia,dell’economia,della scienza,delle comunicazioni. Anzi,ogni giorno è il tempo dei diritti,perchè è questo un tempo ancora non venuto del tutto,un tempo da costruire giorno per giorno,ricordando ogni singola vita interrotta,ogni famiglia spezzata,ogni sorriso cancellato. Altrimenti non saranno mai “tempi moderni”.

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