Millennials: chi sono i giovani figli del boom tecnologico?

di Gianluca De Feo. Una ricerca condotta da Ipsos sfata la maggior parte dei miti: i millennials sono più simili ai propri genitori di quanto si possa immaginare.

Studiano tanto, votano poco, e si definiscono “di sinistra”. Sono forse la generazione più derisa di tutte, ma spesso i loro comportamenti nascondono verità ben diverse da quelle che i media tendono a ritrarre. Stiamo parlando dei millennials, la generazione di ragazzi nati tra i primi anni ’80 e la prima metà anni ’90 e diventati adulti nel bel mezzo di una delle crisi economiche più devastanti della storia dell’Occidente moderno.

E se il progresso tecnologico ha avuto un impatto profondo sulla vita di tutti, è proprio la crisi economica che ha segnato la pelle dei (non più così tanto) giovani millennials. La ricerca effettuata nel 2017 da Ipsos MORI e intitolata “Millennial: Myths and Realities” inquadra l’impatto che la crisi ha avuto su una generazione tanto “misteriosa” quanto sofferente. Ci offre però anche una panoramica più ampia sulle attitudini e sulle preferenze dei millennials, spesso a loro volta connesse allo stato di salute del mondo consegnatogli in eredità dalle generazioni precedenti.

Quella dei millennials sarà la prima generazione occidentale dell’epoca moderna a stare peggio dei propri genitori, dice Ipsos. Soprattutto in quei Paesi dove globalizzazione e crisi hanno colpito più duramente la classe media, da ormai quasi tre decenni non esiste crescita economica per le fasce di popolazione più giovani. Come si può facilmente immaginare, l’Italia è fanalino di coda in questa speciale classifica che comprende le maggiori economie occidentali. Tra il 1986 e il 2010, il reddito di un italiano in età compresa tra 25 e 29 anni è cresciuto del 19% in meno rispetto alla media nazionale.

Ciò significa che il livello di reddito disponibile è rimasto pressoché invariato da 15 anni a questa parte, mentre quello delle generazioni più anziane è cresciuto più o meno visibilmente. Ipsos prova a spiegare i motivi di questo evidente gap intergenerazionale, trovandone le cause non solo negli esiti della crisi economica, ma anche nei mutamenti del mercato del lavoro che da questa sono derivati. Ecco che allora alti tassi di disoccupazione giovanile e debiti pubblici fuori controllo vanno a braccetto con una crescente precarietà e posti di lavoro sempre più flessibili e “non convenzionali”.

Ma se un giovane ha possibilità economiche insufficienti, farà anche molta più fatica a lasciare casa, ancor di più a comprarne una di proprietà, e quindi a mettere su famiglia. Al 2014, negli Stati Uniti, il 31% dei ventisettenni vive con i genitori, quando alla stessa età lo faceva solo il 18% dei nati tra metà anni ’60 e inizio anni ’80 (la cosiddetta “Generazione X”). Volenti o nolenti, i giovani d’oggi (che rappresentano circa il 25% della popolazione in Europa e quasi il 30% negli Stati Uniti) impiegano più tempo ad entrare in quella che è generalmente considerata la “vita adulta”. Questa è forse la conseguenza più visibile rispetto alla condizione di immobilità economica in cui si trovano.

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