Matteo Salvini e… qui comando io e questa è casa mia!

di Redazione. Matteo Salvini forte del voto europeo e dei sondaggi e ancora più sicuro di sè per il voto di fiducia appena incassato sul dl sicurezza-bis, è un fiume in piena che viene giù a valanga portando via tutto quello che gli si para contro.

E’ lui il leader. E’ lui che detta l’agenda di governo.

Prendere o lasciare. E per il momento gli alleati di governo le prendono di santa ragione: incassano botte da orbi come un pugile suonato e messo all’angolo!

E lui, il leader che se ne frega degli attacchi mediatici sulle moto d’acqua e sull’inno di Mameli intonato in spiaggia, cavalca l’onda e preme sull’acceleratore: sa che ormai alla guida della macchina sempre più verde e meno gialla c’è soltanto lui, e spinge a tutto gas.

E così, in vista della manovra economica di fine anno, chiede ai 5stelle una legge finanziaria vera, con soldi veri per investimenti, opere pubbliche, infrastrutture. “Sono pronto ad andare a contrattare la flessibilità necessaria con l’Europa per spendere su questi obiettivi”, fa sapere il Ministro dell’Interno alle parti sociali nell’incontro in corso al Viminale.

La manovra non può essere un “gioco delle tre carte”, gli sgravi non debbono essere recuperati con nuove misure. In un quadro economico con “dati congiunturali caratterizzati da luci e ombre”, ed “un massimo storico per occupazione ma lavoro di qualità debole”, il problema “è la crescita dello 0,1% del Pil. La situazione del Paese presuppone una manovra che vada oltre la spesa corrente”, e ripete “servono investimenti”.  

E “per il piano straordinario di investimenti occorre discutere con l’Unione Europea alcuni vincoli europei – ha ribadito il ministro dell’Interno alle parti sociali – in base ai quali nulla di quello di cui stiamo parlando da tre ore sarebbe possibile“.

E ancora: “La situazione dei consumi è ferma, bisogna prenderne atto. E’ vero che aumenta il numero dei lavoratori e diminuisce il numero dei disoccupati però bisogna anche considerare la qualità del lavoro. Nella grande distribuzione e nei negozi il potere reale d’acquisto delle famiglie è fermo“.

E a proposito di casa e fisco: “Occorre un coraggioso e sostanzioso abbassamento delle tasse, si sta lavorando all’eliminazione della Tasi e alla riorganizzazione della tassazione sulla casa”.

E poi pensando al voto di domani sulla Tav, Salvini, questa mattina a Radio24, ha attaccato duramente Toninelli: “Non mi sembra all’altezza di gestire le infrastrutture di un Paese bello ma difficile come l’Italia. Non voglio regalare agli italiani altri mesi di litigi, polemiche, insulti. Sulla Tav si è perso un anno, così come sulla Riforma della Giustizia o sull’Autonomia. Sul taglio delle tasse il dibattito è infinito. Se dovessi ritenere che non c’è più strada, non ne faccio una questione personale, bisogna prenderne atto”.

E il leader del Carroccio non abbassa la guardia neppure sulla Flat Tax: “Meglio tagliare il cuneo fiscale della flat tax? L’importante è che ci siano più soldi in busta paga e meno carico fiscale per le imprese”.

E conclude: “Salario minimo proposto dal M5s? Prima viene il taglio delle tasse. Prima di ridistribuire bisogna crearla la ricchezza”.

E… qui comando io e questa è casa mia!

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1 Response

  1. NoTav ha detto:

    “La Tav non vale una crisi”, M5s volta le spalle a Perino.
    Una (e)mozione da poco. Cari NoTav accontentatevi di quella, che per noi fa fine e non impegna. Il messaggio non è così esplicito nelle parole, ma questo è il senso della risposta data nei fatti dai Cinquestelle, pure da quelli più barricaderi, alla richiesta di lasciare il movimento avanzata con decisione pochi giorni fa a Bussoleno da Alberto Perino. Il capopolo NoTav valsusino aveva intimato: “Chi è No Tav non può essere un Cinquestelle, quindi tutti coloro che si sentono parte della lotta contro la Torino–Lione devono rimanere nelle istituzioni e abbandonare il M5s”.
    La prima pernacchia gli è arrivata da Chiara Appendino: la sindaca ha detto con nettezza che nella sua maggioranza non c’è spazio per chi non è del movimento, ovvero: chi uscisse non sarebbe più dalla sua parte. Messaggio chiaro e forte, perfettamente ricevuto: nessuno dei consiglieri al momento pare intenda obbedire al diktat. E sono sembrate parole da equilibristi della politica della Prima Repubblica quelle della consigliera regionale Francesca Frediani, che di lei ha sempre detto di essere NoTav prima ancora che Cinquestelle: “Ora per tutti si apre un periodo di riflessione, che sarà sicuramente segnato dai prossimi atti che si discuteranno in Parlamento”. Pure lei resta, a dispetto dell’ultimatum ricevuto a Bussoleno.
    E quella “riflessione” di cui parla la capogruppo a Palazzo Lascris, i grillini l’hanno già fatta ancor prima dell’atto parlamentare che si voterà domani in Senato. Hanno riflettuto e sono giunti ad alta velocità alla conclusione che non solo non si esce dal movimento, ma soprattutto che il Governo non cadrà neppure di fronte all’ammainarsi della loro ultima bandiera, quella con il treno crociato. “Quello che arriverebbe dopo sarebbe molto peggio” ha preconizzato Alberto Airola, ragionando del decreto sicurezza bis prima del voto di ieri sera.
    Il senatore torinese è considerato un pasdar trinariciuto del movimento e anche per questo ciò che ha dichiarato ieri, prima di votare a favore, la dice lunga su come i Cinquestelle pur di non urtare la suscettibilità di Salvini e, soprattutto, per evitare una crisi con elezioni che lascerebbe a casa (e, in molti casi senza, un’occupazione) parecchi di loro, siano disposti a tutto, figurarsi a farsi un baffo della richiesta dei NoTav.
    “Questo non è l’anticristo dei decreti, è una manifestazione di forza del nostro contraente, la Lega, e con lei non possiamo permetterci dividerci”, ha detto il senatore barricadero prima di arrendersi al Capitano. Nei palazzi della politica romana, infatti, circolano sempre più spesso i sondaggi sul gradimento per l’opera e i numeri strizzano l’occhio a chi la pensa come il ministro dell’Interno. Ecco perché i colonnelli pentastellati sono impegnati a spegnere ogni focolaio: “Il governo non cadrà, Salvini minacci chi vuole”, dice Danilo Toninelli. Spiegando che “la mozione impegna il Parlamento in quanto organo che ha approvato l’accordo, non l’esecutivo. Quindi non ci saranno problemi sulla tenuta”. Una resa senza neppure l’onore delle armi. E suonano patetiche le parole di Airola pronunciate ieri nell’aula di Palazzo Madama: “In futuro avremo tante cose da fare, in primis fermare il Tav, la partita è ancora aperta. Anche se oggi sembro cedere, domani sarò duro e spietato e avrò ragione, perché conto di vincere”. In che modo, lo si vedrà tra poche ore. Una cosa è certa, a dispetto delle posizioni ufficiali l’alzo zero di Salvini sta mandano nel panico i grillini: “Ora non vuole neanche farci combattere la nostra sterile battaglia. È un documento che impegna il Parlamento non il governo, nel momento in cui verrà bocciato noi ne prenderemo atto. La finiamo lì. Il fatto è che vuole annientarci”, dice un big M5s.
    Con quest’aria che tira, cosa di meglio di una mozione per ridurre la battaglia delle battaglie del grillismo a poco più di una scaramuccia parlamentare con il trolley già pronto? La lotta non garantisce poltrone, il governo sì. Che altro si dovrebbe spiegare a quel popolo NoTav, peraltro sempre meno vasto e orami egemonizzato dai centri sociali e dalle frange antagoniste, da parte della forza politica che sulla lotta alla grande opera ferroviaria ha basato gran parte del suo consenso, soprattutto in Piemonte. A Perino e agli altri leader del fronte NoTav, c’è ancora bisogno che i Cinquestelle spieghino che nel partito di Luigi Di Maio la Torino-Lione è ormai una faccenda marginale per lo stesso capo politico che certo non può fare leva sulla Tav per arginare nel suo più grande bacino di voti che è il Sud l’avanzata di Salvini, tantomeno mettere a rischio il governo aprendo a pericolosissime elezioni?
    Ecco perchè per cercare di salvare la faccia e ancor più la poltrona basta e avanza la mozione che andrà al voto domani, meglio ancora se sarà bocciata in modo da poter dire che si è fatto tutto quel che si poteva fare. Se neppure un cenno di possibile adesione a quella richiesta di far prevalere la battaglia contro la Torino-Lione all’appartenenza a un partito ormai considerato traditore è arrivato ai NoTav neppure dagli esponenti grillini più vicini e solidali come, oltre la Frediani, le consigliere comunali Maura Paoli e Viviana Ferrero, difficile immaginare una sia pur rabberciata ricucitura di quell’idillio che ha unito gli oppositori della grande opera ferroviaria alla forza politica che sulla protesta ha macinato consensi.
    La risposta a quell’appello che è parso quasi un’intimazione – abbandonare il M5s, pur restando nei loro ruoli elettivi – è stata chiara: i grillini di ogni ordine e grado non ci pensano proprio. Al massimo potranno registrarsi uscite personali, facilmente rubricabili a casi isolati. Resta, a questo punto, da vedere quale sarà l’atteggiamento, quali le mosse dei NoTav, mollati per non mollare scranno e potere.
    Sedotti e abbandonati, o più crudamente cornuti e mazziati, Perino e i suoi cosa faranno domani quando con la mozione del No i Cinquestelle avranno compiuto il loro lavacro pubblico rivendicando la loro posizione sulla Tav, ma conservando ben salda quella al governo e negli scranni parlamentari?

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