Marzo 2020. Desideravo da tempo un pò di silenzio. E ora che è arrivato non posso goderne. di Marina Serafini

di Marina Serafini. In questo giorno di silenzio attutito, in cui il paese è blindato al suo esterno e al suo interno, mi muovo spiazzata per casa cercando il sole dalla finestra. Sembra che la città sia tornata a disposizione dei mille volatili che occupano l’aria con le loro melodie e con suoni a volte un pò striduli.

Desideravo da tempo un pò di silenzio. Desideravo eliminare quel brutto rumore di fondo causato dalle automobili e dal caos cittadino. La mia testa chiedeva riposo. E ora che è arrivato il silenzio, ora che l’aria è pulita dagli scarichi dei nostri trabiccoli, io non posso goderne. La causa è la morte, la malattia, la paura.

Osservo individui sparuti, con la bocca coperta per protezione, che vanno un pò mesti, a passo veloce, su strade deserte. Un silenzio plumbeo di giorno e di notte, interrotto ogni tanto da momenti di musica e cori distorti: i nuovi rituali ai quali la gente si aggrappa per esorcizzare questo momento. I bambini disegnano arcobaleni e scrivono, sotto dettatura dei loro maestri, che ce la faremo. Intanto i notiziari aggiornano sui nuovi decessi, ogni giorno in aumento.

Finalmente ho capito che è vero, che di questo virus si muore, e che la questione è davvero tremenda.
Sento amici che parlano di persone a loro vicine finite in ospedale; ieri ho saputo che è morto un mio conoscente. Ogni giorno dei numeri, ogni giorno dei nomi.

Ora sono seduta al sole, su una panchina: aspetto che il mio amico esca fuori dalla visita medica, aspetto che torni da me. Io non posso entrare – per sicurezza – mi dicono. Sono in un giardino e osservo un cespuglio di foglie verdi, verdissime, intramezzate da foglie di un rosso acceso, che brilla per la luce del sole che vi si posa sopra, gentile. Fa freddo e oggi ho paura. Ho fretta che lui torni da me, e questa paura è tutta aggrovigliata nella mia gola, come un tappo di stoffa che assorbe la mia linfa vitale, prosciugandomi. Guardo la porta ogni volta che c’è un movimento.

È tempo di paura, di incertezza e di caccia alle streghe. È tempo di tante domande senza risposta e di ipotesi brutte.

Oggi non so godere di questo sole brillante, sembra piuttosto un’offesa.
Nel silenzio diffuso solo gli uccelli zampettano e volano ovunque, liberi di muoversi e di cantare. Sembrano allegri, loro, alla conquista di uno spazio che gli avevamo brutalmente sottratto.
È bello per loro, lo trovo anche giusto, ma non riesco a sorridere, nemmeno per loro.

Io ho smesso di farlo da alcuni giorni.
E chissà quando mi sara possibile riprendere a farlo.

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