L’impossibilità della solitudine. di Clemente Luciano

di Clemente Luciano. Ed alla fine, dopo questo lungo, interminabile tempo di quarantena pandemica, “uscimmo a riveder le stelle”, a girar per strade e negozi, alla ricerca di nuove e diverse forme di normalità.

“Distanziamento”, ci hanno detto che era necessario fare per sconfiggere il coronavirus.E lo abbiamo fatto,ci siamo “distanziati”,anche se questo ci ha ricacciato in nuove e diverse solitudini.Solitudini più “leggere”,che hanno pesato di meno,come quelle passate in casa coi nostri familiari;ma anche quelle più “pesanti” e gravi da sopportare,come quelle degli anziani,per esempio,che già prima soli,soli son rimasti ancora di più in questo tempo infinito e sospeso.

In questi 3 mesi di quarantena abbiamo acquisito nuove consapevolezze,abbiamo meglio capito quello che ci è mancato in questi mesi.Quello che davamo per scontato e che mai avremmo pensato ci sarebbe stato sottratto.Lo abbiamo capito non potendo andare allo stadio,al cinema o al teatro,nei bar o al ristorante.E adesso che lentamente cerchiamo di scrollarci di dosso la “vita agra” che abbiamo vissuto in questa quarantena,adesso che andiamo “alla ricerca di quel tempo perduto”,ci accorgiamo che niente sarà come prima e che dovremo reinventarci altre forme di vita,un diverso modo di essere.

Sì,abbiamo perduto tanto,indubitabilmente.Ma forse abbiamo anche trovato altre cose.Abbiamo forse capito il vero significato dell’appartenenza ad una comunità.Abbiamo capito che siamo qualcuno perché con qualcuno siamo.Siamo andati oltre quella falsa illusione di essere perché si hanno “amici” nell’Agorà virtuale dei social.Abbiamo capito che siamo “unici” perché non siamo uno solo,che siamo singolari perché appartenenti ad un tutto.Abbiamo capito,perché abbiamo “sentito” la necessità di “partecipare” di un tutto più ampio e globale.

Perché appartenere vuol dire far parte di un gruppo che condivide con noi determinati sentimenti,intesi appunto come “sentire”,insieme ad altri,le stesse sensazioni,le stesse emozioni.

Perché la consapevolezza di “appartenere” aumenta la nostra resilienza,la nostra capacità di fronteggiare le avversità,trovare più forza per affrontare i problemi come quelli che la pandemia ci ha posto innanzi.E allora,adesso che si ricomincia a “vivere”,bisogna ripartire come collettività,per raggiungere obiettivi che al singolo restano preclusi.Abbiamo la necessità,sentiamo l’indispensabilità di stare insieme e di appartenere.Si appartiene per vicinanza,fisica o geografica,perché quando siamo lontani dai nostri gruppi familiari,dalle terre dove giocavamo bambini,proviamo ancor più forte quella “carità per lo natio loco” e non è certo Skype a ridurre o eliminare le distanze.Oppure senti l’appartenenza “per somiglianza”,a dir così:somiglianza di idee,credi politici o religiosi,valori,stili di vita e bisogni.Ma il vero e più grande senso di appartenenza è il parlare plurale di ogni singolo che pure mantiene la propria specificità e individualità e la singolarità delle proprie idee.E’ così che nasce un popolo e una Nazione,ma non certo populismi o nazionalismi.

E’ importante declinare al plurale certi verbi:giocare,vincere,andare,ascoltare,vedere.Anzi.Certi verbi non è nemmeno possibile declinarli al singolare:vedersi,e con chi se non hai un altro con cui vederti?Vincere.E quando la tua squadra vince,che emozioni puoi provare se non hai la possibilità di condividerle con migliaia di altri “io”,che con te esultano e cantano in uno stadio,che poi è quel catino di cemento fatto proprio per contenere decine di migliaia di persone tutt’insieme tra loro?

Puoi forse visitare un museo,andare a cinema o a teatro senza un gruppo di amici con i quali poi dire quello che hai “sentito” davanti al quadro della Mostra di Raffaello o Caravaggio,ad una prima di Brecht o Pirandello,di Shakespeare o Eduardo o all’ultimo rifacimento di un film di Fellini?Di certo non è la stessa cosa fare una visita “virtuale” in 3d all’Hermitage o agli Uffizi.E vuoi mettere le allegre tavolate con amici al ristorante il sabato sera?E puoi dire che sia una vera acquisizione del “conoscere” una DAD(Didattica a distanza)la lezione di scuola o di università fatta a distanza col pc,quando poi i più svantaggiati il computer nemmeno ce l’hanno?

Alla fine comprendi,allora,quanto aveva ragione Aristotele,quando diceva che l’Uomo è un animale sociale,che sente la necessità di stare insieme e non solo per convenienza;se anche l’Uomo avesse tutto di cui ha bisogno e fosse autonomo,ugualmente tenderebbe a vivere insieme ad altri.C’è una spontanea voglia di stare insieme.L’unico che potrebbe riuscire nell’impresa di arroccarsi nella propria solitudine,senza provare la sensazione di sentirsi una nullità,un essere senza senso,o è Dio sceso in Terra o un pazzo.

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