Le Sinistre perdono perché mancano di radicamento e di cultura politica autonoma rispetto al mantra Neoliberale. di Gerardo Lisco

di Gerardo Lisco. << Eppure, nonostante il 19% delle elezioni presidenziali del 2017, la lista gauchista è crollata nel 2019. Il consenso politico, se non preceduto da un radicamento culturale, non sempre è duraturo. Urge a sinistra un lento lavoro di rifondazione culturale>>. La ricerca condotta da Matteo Luca Andriola sulla genesi e l’ascesa della “Nouvelle Droite” racchiude in questa frase conclusiva  del saggio le ragioni che hanno   portato alla progressiva affermazione della destra etnonazionalista in diversi Stati europei. Artefice di questa ascesa è il filosofo Alain de Benoist.

Pur non condividendo la teorica di de Benoist, non posso fare a meno di apprezzarne le qualità intellettuali e di elaborazione del pensiero. La conclusione dell’autore è valida per il movimento Insoumise di Melenchon tanto quanto per le Sinistre nostrane, il M5S, Podemos, il Labour di Corbyn e per gli stessi Democratici USA.

Le Sinistre, come  più in generale i movimenti populisti antisistema non riconducibili alla teorizzazione della Nouvelle Droite, perdono perché mancano di radicamento e di una cultura politica autonoma rispetto al mantra Neoliberale. La ragione di tutto questo, ricordando Immanuel Wallerstein e quanto scrive in “Dopo il Liberalismo” , è da ricercare nella radice unica che accomuna Liberalismo e Socialismo. Per dirla sempre con Wallerstein siamo alla fine di un ciclo e le criticità dovute alla sua fine sono state interpretate meglio da un intellettuale come de Benoist, che è riuscito ad offrire una visione del mondo  alternativa al pensiero unico neoliberale, che dall’intellighenzia delle varie Sinistre.

Eppure se leggiamo le opere di de Benoist di riferimenti alla cultura politica di sinistra ce ne sono e come: mi vengono in mente “La fine della sovranità. La dittatura del denaro che toglie il potere ai popoli”  e “Critica del Liberalismo”.

Ciò che emerge dalla ricostruzione storica del saggio di Andriola è che negli anni ‘60, di pari passo con la contestazione al sistema proveniente dal movimento studentesco, a destra, grazie ad intellettuali come de Benoist, si avviava un processo di elaborazione critica che portava al superamento della destra riconducibile al fascismo e al nazismo. Da una parte c’era il superamento di categorie come il razzismo e dall’altra il recupero di teorie  culturali tipicamente di sinistra come l’altromondismo dei no – global, la decrescita di Latouche, il concetto  di egemonia di Gramsci.  L’opera intellettuale condotta da de Benoist, come si evince dal saggio di Andrioli, ha finito con l’avere la stessa funzione di scritti come il “Manifesto del Partito Comunista” di Marx ed Engels o del  “Che fare” di Lenin.

Con il suo lavoro intellettuale de Benoist   ha fornito  la giusta visione che ha consentito a movimenti politici di destra di uscire dal settarismo nel quale erano rinchiusi.  L’elaborazione teorica di de Benoist, come dicevo, inizia negli anni ‘60 dopo la sconfitta subita dall’estrema destra alle elezioni francesi del 1962. E’ con la fondazione  dell’associazione GRECE ossia  Groupement de recherche et d’études pour la civilisation européenne che il pensiero di de Benoist inizia a tradursi in una visione complessiva che si allarga via via alle formazioni dell’estrema destra francese per poi travalicare i confini francesi.

Il lavoro di de Benoist è di elaborazione teorica e nel contempo di coinvolgimento e di confronto con correnti di pensiero non proprio riconducibili alla destra tradizionale. Possiamo dire che egli  rompe il recinto identitario della destra estrema fornendole una nuova identità che la pone al di là delle categorie tradizionali di destra e sinistra. Destruttura il pensiero della destra tradizionale per darle un’altra visione e un’altra struttura. Questo lavorio di elaborazione teorica e di apertura ad altre correnti di pensiero porta de Benoist a confrontarsi, solo per citarne alcuni, con Costanzo Preve e con Danilo Zolo.  Uno dei tanti aspetti interessanti che emerge dalla ricostruzione storica sulla genesi della Nouvelle Droite fatta da Andriola è che la contestazione al Liberalismo e al sistema capitalista, pur essendo coevo alla contestazione sessantottina, a differenza di questa come provano gli studi di Boltanski e Chiapello ne “Il nuovo spirito del capitalismo”, non ha fornito il supporto ideologico alla reazione neoliberale fondata sull’esaltazione dell’individualismo che ha portato al trionfo dell’attuale modello capitalista basato sulla finanziarizzazione dell’economia, sul trionfo dell’ideologia del mercato e sulla globalizzazione.

La teorica di de Benoist ha fornito alle masse popolari gli strumenti culturali per opporsi alla globalizzazione, alla massificazione e al trionfo dell’indistinto proprio del sistema capitalista contemporaneo. Le coordinate fornite da de Benoist utili a costruire l’opposizione culturale e politica al sistema sono  identità, differenzialismo ed etnonazionalismo.  Sono queste coordinate che danno il senso di come de Benoist sia riuscito a far proprie talune categorie di sinistra anche se il differenzialismo  di de Benoist è altra cosa rispetto a quello elaborato dalla Sinistra: quello di Sinistra è diventato funzionale all’individualismo neoliberale, il differenzialismo di de Benoist è invece recupero delle singole comunità etniche che diventano vere e proprie nazioni da contrapporre all’ideologia globalista.

Per de Benoist la globalizzazione è il prodotto della cultura neoliberale anglosassone e in particolare statunitense. All’egemonia culturale neoliberale anglosassone de Benoist oppone l’identità europea che va dalle coste portoghesi agli Urali. L’Europa non è l’Unione Europea ma l’intero continente europeo, da qui l’interlocuzione privilegiata di molti esponenti della Nouvelle Droite con la Russia di Putin e con il filosofo e politologo russo Duguin. All’Unione Europea degli Stati nazione liberal – democratici la Nouvelle Droite contrappone l’Europa delle piccole patrie. Gli Stati Nazione nati a partire dal XV secolo hanno mirato ad eliminare le differenze etniche e culturali dei vari popoli che formano la galassia europea ma non ci sono riusciti fino in fondo.

Le istanze etniche sono ritornate alla ribalta con la fine della divisione in Blocchi del mondo e con la Globalizzazione ossia con “la fine della storia”. Il ritorno delle etnie è un processo che si è avviato all’indomani del crollo del muro di Berlino, ne sono esempi  la fine della  Jugoslava, della Cecoslovacchia, della stessa URSS. In Paesi come l’Italia, la Spagna e la Scozia il “revival etnico” si manifesta con l’affermazione di partiti politici autonomisti che spingono per la secessione. Il diritto alla differenza teorizzato da de Benoist richiama il diritto alla secessione teorizzato da Buchanan e ripreso da Miglio. La difesa dell’identità etnica supera il razzismo proprio dell’ultra destra tradizionale ponendo le basi per un approccio nuovo alla questione immigrati. De Benoist non è razzista e nemmeno fascista, su questo punto faccio mio il giudizio di Cacciari: <<Con de Benoist si può essere d’accordo o no, ma è un intellettuale di vastissima cultura, che da anni studia i fenomeni della globalizzazione da un punto di vista molto critico, con grande competenza e conoscenza>>.

Il diritto alla differenza è un diritto che va riconosciuto a tutti i gruppi etnici e non solo a quelli che vivono sul suolo europeo. Il diritto alla differenza  per de Benoist va esercitato contro il sistema dominante che mira all’annullamento delle differenze culturali in funzione del mercato e del profitto.   La globalizzazione e il  neoliberismo hanno prodotto disgregazione sociale e marginalizzazione delle classi popolari. L’identità culturale di queste masse è stata messa in crisi da stili di vita molto diversi dai propri. Il tema dell’impatto degli immigrati sugli stili di vita delle società dei Paesi che li accolgono è sicuramente dirompente, la letteratura sul tema è ormai molto vasta e viene trattata da riviste come Limes, Reset, Le Monde Diplomatique oltre ad occupare spazi su quotidiani e nei dibattiti televisi. Per quanto riguarda la Francia il romanzo “Sottomissione”  di Houellebecq è sicuramente molto utile per capire il contesto.

La globalizzazione ha portato alla deindustrializzazione dovuta alla delocalizzazione di interi settori industriali. Di fronte ad una globalizzazione sempre più invadente, di fronte a Stati – nazione governati da ceti politici funzionali agli interessi delle elites globaliste, il pensiero di de Benoist,  fatto proprio da movimenti politici di nazional – populisti,  offre una visione del mondo alternativa a quella dominante indicando una possibile via di uscita dallo stato di crisi economica, sociale ed esistenziale nella quale versano le masse popolari sulle quali vengono scaricati i costi della globalizzazione.

Di fronte a questo contesto i partiti politici di sinistra e i sindacati non sono più in grado di rassicurare le masse sempre più vaste di esclusi e di marginalizzati. Come sostituta della solidarietà di classe de Benoist propone la solidarietà che viene dall’appartenenza alla stessa etnia fondata sul sangue e sul territorio. A questo punto sembrerebbe che il pensiero di de Benoist sia la soluzione alla crisi e sia di rottura rispetto al modello neoliberale. Così non è.

Le questioni sono e restano di tipo economico. Come provano i programmi economici di movimenti politici etnonazionalisti (Andriola, infatti,  dedica la seconda e la terza parte del saggio alla loro analisi evidenziandone le caratteristiche e le specificità rivenienti dai singoli contesti nazionali)  il recupero dell’identità etnica da contrapporre alla globalizzazione non equivale al superamento del neoliberismo in economia.

Scrive Andriola a proposito della Lega: <<Possiamo dire che il programma economico del Carroccio di Matteo Salvini si articola nel recupero della sovranità monetaria, nella detassazione e nella semplificazione normativa, tre pilastri che il partito nazional – populista vuole percorrere per rafforzare la piccola e media impresa, colonna vertebrale dell’economia nazionale italiana, fortemente indebolita dalla globalizzazione. Quello leghista, in sintesi, è un neoliberalismo particolare, comparabile con la formula elaborata dal Club dell’Horloge di liberalismo al servizio del popolo (…) un mercato costellato da tante piccole imprese di dimensione ridotte, più simile all’idealtipo di mercato concorrenziale alla tradizione neoliberale rispetto al mercato oligarchico, dove sono le grandi imprese a farla da padrone(…) La flat tax implica che lo Stato non debba occuparsi di questioni redistributive per non interferire con il regime di produzione italiano. Il rilancio dell’economia è delegato al mercato, motore di crescita e sviluppo, e tali processi possono essere garantiti solo tramite un ruolo maggiormente residuale da parte dello Stato>>.

Questa posizione della Lega è davvero in contrasto con il pensiero neoliberale di von Hayek o di Nozick o è semplicemente sul piano della prassi politica l’incontro tra i primi due con quanto teorizzato dal Nouvelle Droite? Penso proprio che sia il punto di incontro se non addirittura la soluzione culturale – politica alla crisi del Neoliberalismo.

Il programma neoliberista della Lega non si differenzia molto da quello di altri movimenti e partiti politici simili. All’idea di concorrenza tra individui e imprese viene sostituita l’idea di concorrenza tra sistemi economici e  produttivi che si identificano con la comunità etnica. Una Europa federazione di micro stati etnici mira a superare il conflitto di classe negando che all’interno di una comunità etnica ci siano sfruttati e sfruttatori, elite dominanti e masse subalterne. La differenza naturale tra comunità etniche giustifica talune posizioni della Lega verso il Mezzogiorno o di movimenti politici mitteleuropei verso i popoli mediterranei.

La Nouvelle Droite sul piano della cultura politica non è altro che il tentativo del superamento della fine di un ciclo economico da destra. Per uscire dalla crisi economica e sociale prodotta  da globalizzazione e neoliberalismo  bisogna eliminare il conflitto sociale; per farlo la soluzione non è in politiche economiche diverse da quelle dominanti ma nella costruzione di una coscienza etnica capace di superare il conflitto sociale per cui alla fine le diseguaglianze sociali dovranno essere accettate non perché frutto di determinate politiche economiche ma perché naturali, perché naturale è la differenza tra comunità etniche e tra persone. Il saggio di Andriola è ricco di informazioni e di spunti di riflessioni ed è per queste ragioni che merita di essere letto soprattutto da coloro che si dichiarano di sinistra e per la verità anche da coloro che appartengono al M5S. La grandezza di de Benoist è nell’aver colto un  dato fondamentale e cioè  che nei momenti di trasformazione sociale offrire una visione culturale del mondo è il miglior viatico per possibili cambiamenti.

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1 Response

  1. Giacomo-TO ha detto:

    In Italia a mio avviso manca una Destra normale, ovvero una Destra conservatrice.
    In Italia la Destra sempre ed in qualche modo si ricollega ad idee del Ventennio.
    In Italia manca quella che definirei una “destra normale”.
    Conservatori \ Progressisti questo dovrebbe essere lo scenario normale.
    Venendo all’Italia i ricchissimi Liberi Comuni con le loro divisioni interne si rovinarono con le loro stesse mani, i partiti furono la rovina dei Liberi Comuni. In germania nel tardo medioevo, la Lega Anseatica, contrariamente ai ns. Liberi Comuni, riuscì a cementare le realtà locali per spingere i commerci, e questo costituì la Fortuna della Lega Anseatica.
    Al di là di teorie e parole fumose: In Italia ci si deve sempre dividere e contrapporre. L’epoca dei campanili è tramontata e da tempo.
    Anni fa con un gruppo di Amici formammo un’Associazione che purtroppo si spaccò per i continui litigi interni:sempre e su tutto divisi, tutti volevano fare il Presidente.
    SE non muta il modo di pensare, se non mutano gli Italiani, il resto è solo parole e fumo.

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