Le Costicomiche.

di Massimo Gramellini. Uno dei titoli più importanti sui siti e nei telegiornali di ieri era lo scontro a distanza tra Benigni favorevole al Sì e Grillo paladino del No (al referendum costituzionale, si intende). Dopo una rapida ricerca di archivio, ho scoperto con mia grande sorpresa che le prime pagine dei giornali dedicate al referendum Monarchia-Repubblica non recavano traccia delle opinioni di Totò e Aldo Fabrizi,
e che anche la posizione di Macario e Gilberto Govi era sostanzialmente trascurata a vantaggio di quella di Piero Calamandrei, il quale oggi rimedierebbe a stento una “breve”, ma solo a patto di dare del golpista al premier o della sciantosa alla Boschi. Non ho spinto la mia ricerca agli scontri referendari degli Anni Settanta, ma a memoria mi sembra di ricordare che Alberto Sordi non vi giocò un ruolo decisivo e che la linea di Ugo Tognazzi sul divorzio non divise l’opinione pubblica con la stessa ferocia che oggi accoglie ogni uscita di Johnny Stecchino sulla riduzione del numero dei senatori. Naturalmente il problema non sono Benigni e Grillo. Il problema è quello che sta loro intorno. O, meglio, che non ci sta più. La politica, la cultura, l’imprenditoria, il giornalismo – il famoso establishment – non rappresentano più niente se non se stessi. Fuori dalla cinta daziaria dei contemplatori d’ombelico, le loro opinioni non fanno opinione e neanche notizia. A costoro il cittadino normale si rifiuta di riconoscere quella patente di autorevolezza che invece concede ancora al comico, visto non solo e non tanto come un fustigatore, ma come l’ultimo comunicatore in grado di parlare una lingua magari contestabile, ma comprensibile.

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