L’Atalanta centra per il terzo anno di fila la qualificazione alla Champions League.

di Alberto Sigona. Il Tris delle meraviglie! L’Atalanta centra per il terzo anno di fila la qualificazione alla Champions League. In quest’ultimo triennio la Dea ha cambiato il proprio status, e da lieta sorpresa è diventata una solida realtà. Intanto, mentre l’Inter si gode il 19° Scudetto, i campioni uscenti della Juventus rischiano di naufragare in Europa League. Fra i cannonieri, Cristiano Ronaldo, dopo aver sfondato il muro dei 100 gol in maglia bianconera, si laurea capocannoniere della Serie A.

Eric-Emmanuel Schmitt un giorno sentenziò: “La rarità crea il miracolo, la ripetizione lo annulla”. Tale aforisma rispecchia in maniera chiara e ben delineata la fisionomia della situazione dorata che d’alcuni anni a questa parte sta vivendo l’Atalanta di G. Gasperini.

Ripercorriamone allora la parabola ascendente. Quando nel 2016-’17 i bergamaschi agguantarono l’accesso all’Europa League, un po’ tutti, tifosi ed addetti ai lavori, furono concordi nel collocare l’impresa del team lombardo nel reame dei prodigi sovrannaturali. E come dargli torto!? All’epoca la Dea era quasi del tutto estranea a certi palcoscenici sfarzosi, anzi era la tipica squadra alla sistematica ricerca della classica salvezza, sebbene negli anni recenti essa in genere venisse ottenuta con relativa tranquillità, tenendosi a debita distanza da certe sgomitate disperate e da pericolosi campi minati.

Così, quando nel ’17 i neroblù si elevarono addirittura al 4° posto (piazzamento che la Dea non aveva mai toccato nell’arco della sua lunga storia), quasi nessuno poté esimersi dal ritenere l’exploit bergamasco una di quelle felici eccezioni ai limiti della realtà, destinate a rimanere a lungo un unicum del calcio italiano. Ma oggi, dopo la terza qualificazione di seguito alla Coppa dei Campioni (competizione in cui, fra l’altro, ha sinora ben figurato, spingendosi ben oltre le più rosee aspettative), parlare di miracolo appare inopportuno, e non rende l’idea (e forse nemmeno giustizia al team) circa la portata del fenomeno.

Il miracolo, infatti, in genere indica un avvenimento isolato nel tempo, o un qualcosa d’immenso, di esagerato, ottenuto con mezzi inidonei. E il boom Atalanta non rappresenta né il primo né il secondo caso. Essa, infatti, non si è limitata ad esprimersi ad altissimi livelli in una singola stagione, ma è da diversi anni che vìola l’inviolabile, che raggiunge l’irraggiungibile, dirottando l’eccezione sulla via della routine. E di certo non lo ha fatto con mezzi inappropriati, ma disponendo di risorse che, okay, non saranno quelle del Real Madrid, ma non sono mica di un team da retrocessione. E c’è di più. In questo lasso di tempo la Dea ha cambiato persino il proprio status (oserei dire, il proprio dna), e da lieta sorpresa è diventata una solida realtà, di quelle destinate a resistere e consolidarsi nel tempo.

Forse il vero miracolo è che la metamorfosi atalantina si materializza e si perfeziona di giorno in giorno astenendosi rigorosamente dall’esprimere il caratteristico gioco da provinciale, quella che, per intenderci, si barrica nel proprio fortino per poi colpire a tradimento con agguati inaspettati. L’Atalanta è esattamente l’opposto. Essa è una compagine che sfida l’avversario lealmente, a fronte alta e petto in fuori, senza timori, senza remore, senza la benché minima sudditanza psicologica. La Dea non nasconde le proprie armi, non cela le proprie intenzioni, non mimetizza la propria baldanza. Sfacciata come poche al Mondo, essa si palesa al nemico in tutto il suo sfolgorio, incutendo al suo apparire la paura di chi sa di rischiare seriamente di essere sacrificato sull’altare del bel gioco. Già, il bel gioco. La forza dell’Atalanta è proprio lì, in un gioco dai ritmi elevati, martellanti e dalle trame sublimi, che in Europa riesce ad infastidire persino teste coronate e pluri blasonate. In Italia sono pochissime a resisterle. Quasi tutte, fra andata e ritorno, hanno dovuto tributarle un conto salato, e la stessa Inter per averne ragione ha dovuto rinnegare se stessa e le proprie specificità.

IL RISCHIO DELLA JUVENTUS

Frattanto, quando mancano 90 minuti al termine della stagione, i campioni uscenti della Juventus rischiano seriamente di dover barattare la qualificazione alla Champions League (che alla vigilia del Campionato rappresentava il minimo sindacale) con l’accesso all’ex Coppa UEFA, ed il tutto a causa della sciagurata scelta – che non ha eguali nella storia della Signora – del Presidente A. Agnelli, che a suo tempo decise di affidare la panchina di Madama ad un esordiente assoluto, come se allenarla equivalesse a guidare una squadra di dilettanti allo sbaraglio. Sbaraglio a cui è stato mandato il povero A. Pirlo, che in questa recessione bianconera è forse il meno colpevole, più una vittima che un carnefice.

Il mancato pass per la grande Europa rappresenterebbe un fallimento totale, secondo soltanto al patatrac epico relativo al progetto – per fortuna abortito sul nascere – della SuperLega (o dovremmo chiamarla SuperPorcata?), tanto più se in squadra hai un C. Ronaldo che, viale del tramonto o no, ti porta in dote una trentina di gol (e ti sottrae un bel po’ di grana…).

A proposito, se la Juve dovesse fallire l’obiettivo Champions, potrà pur sempre consolarsi col Titolo di capocannoniere dello stesso asso portoghese (che in A vanta, per ora, la migliore media gol di sempre…; in maglia bianconera, intanto, è a quota 101 reti…): l’ultimo bianconero a laurearsi tiratore scelto del Campionato era stato un certo Alex Del Piero nel 2007-’08.

Per un bomber che non ha tradito le attese ve n’è un altro che, non certo per colpa sua, ha un po’ deluso le aspettative. Si tratta di una delle maggiori attrazioni della nostra Serie A, ovvero Zlatan Ibrahimovic, che coi suoi acciacchi dovuti ad un’età non più verdissima (39 primavere non sono poche nemmeno per lui), non ha potuto dare un contributo continuativo al suo Milan, che dopo un inizio altisonante dovuto proprio al rendimento eccellente dello svedese (che ad un certo punto viaggiava ad una media gol ben superiore al gol a partita), e dopo aver persino accarezzato l’idea Tricolore, negli ultimi mesi, complici le continue assenze di Ibra, sta smarrendosi tra le proprie incertezze, insinuandosi in quella mediocrità che da un decennio a questa parte è diventata endemica.

Se il Milan sta dilapidando il capitale accumulato nella prima parte di torneo (mettendo a repentaglio la C.L.), il Napoli sta invece seguendo la traiettoria inversa. Il team di G. Gattuso, infatti, dopo un girone d’andata in cui aveva costeggiato la sufficienza, negli ultimi mesi sta lambendo l’eccellenza, e la qualificazione alla vecchia Coppa dei Campioni sintetizzerebbe la portata dell’impresa dei partenopei, che sembrano avviarsi diligentemente verso antichi lidi proibiti.

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