La visibilità conta più dei contenuti.

di Yvan Rettore. Vorrei cominciare questo mio intervento dicendo che qualsiasi complotto per essere smascherato in modo autenticamente credibile deve fondarsi necessariamente su fonti, fatti, testimonianze e documenti ineccepibili nonché su una conoscenza approfondita e mai superficiale dell’argomento trattato.
Ad esempio, Gianni Lannes, grandissimo giornalista d’inchiesta, ha smascherato nel corso della sua lunga carriera una caterva impressionante di complotti, ma era talmente scrupoloso nelle proprie ricerche che se non era proprio sicuro del fatto suo, preferiva starsene zitto.
Oggi, troppi non riescono manco ad avere tale decenza, o meglio serietà professionale e dirittura morale.
Non a caso nell’epoca dei social e dei media virtuali circolano un sacco di notizie che creano una enorme mole di disinformazione e di confusione su qualsiasi argomento, tanto è vero che risulta essere una impresa sempre più ardua riuscire a capire dove sta di casa la verità e/o a cogliere se quella rivelata sia soltanto una parte della stessa o meno.
Questo perché ormai contano molto di più la visibilità delle notizie e/o l’audience a livello radiotelevisivo rispetto ai contenuti che vengono diffusi.
Ciò appare ovviamente ancora più evidente per le testate private (ma anche quelle pubbliche non sono tanto da meno) perché devono la loro stessa sopravvivenza e/o il loro sviluppo unicamente agli introiti derivanti dalla pubblicità.
Quindi più gente visita i loro siti o guarda e ascolta i media radiotelevisivi e maggiori saranno le possibilità di farsi finanziare dalla pubblicità e di incrementare di conseguenza la propria visibilità sia a livello locale che nazionale per non dire (in certi casi) anche internazionale.
Si tratta di una logica perversa del mondo dell’informazione attuale ma assolutamente reale e sempre più in espansione. E non è un caso che un giorno sì e uno no, queste testate o anche semplici blogger o VIP (dalle dubbie capacità) in ricerca spasmodica (in taluni casi oserei dire perfino “disperata”) di visibilità escano fuori con notizie che sono destinate a suscitare scalpore perché è logico che più colpisci l’utenza, più hai chances di centrare l’obiettivo di uscire dall’anonimato o di confermare in modo massiccio che ci sei.
Dal canto mio cerco di sfuggire a questo “mercato del pesce” in cui si ritrova oggi l’informazione dominato da chi la spara più grossa.
Non mi azzardo nemmeno a fare l’investigatore virtuale o a puntare il dito contro chicchessia basandomi unicamente su quanto leggo in rete (manco wikipedia è pienamente autorevole e completa come fonte di informazioni) e ancor meno su quanto viene diffuso nei troppi talk show radiotelevisivi.
Non mi elevo quindi mai ad esperto improvvisato perché non ho alcuna difficoltà ad ammettere la mia completa, o parziale ignoranza su un determinato argomento.
Non sono un tuttologo e nemmeno intendo diventarlo perché la conoscenza sta anche nell’umiltà di imparare cose nuove ogni giorno e quindi di non sapere tutto.
Chi invece ha la presunzione di riuscire a dare una risposta ad ogni argomento non solo mente a sé stesso, ma dimostra anche di non avere la capacità di misurarsi con chi ne sa più di lui.
In definitiva tali comportamenti si riassumono in una mancanza cronica di intelligenza e di buon senso.
Detto questo, preferisco affidarmi a professionisti seri e autorevoli dell’informazione che non si limitano a scrivere un articolo su un blog, a postare tweet e post a manetta, a fare brevi comparse in radio o in TV, ma che hanno l’umiltà di fare ricerche serie e mirate per giungere a conclusioni autorevoli sugli argomenti che affrontano.
Per questo poi i loro articoli sulla carta stampata (e soprattutto su testate che ancora sfuggono al “mercato del pesce” dell’informazione) e i loro libri rivestono una fonte autentica di conoscenza che poi consente al lettore di farsi una propria idea sul tema trattato dopo averla pensata ed elaborata con la propria testa.
Questo perché qualsiasi posizione che non si è in grado di argomentare finisce col ridursi ad una banale quanto effimera chiacchiera da bar sport di cui oggi c’è una diffusione esponenziale dovunque, a cominciare dalla rete.
E specie quando si parla di complotti questo modo di porsi dovrebbe essere la regola e non l’eccezione, mentre oggi avviene troppo spesso l’esatto contrario!

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