La Sinistra inutile.

di Gerardo Lisco. Il panorama politico italiano è costellato di sigle che si richiamano alla cultura politica di Sinistra o meglio sarebbe riferirsi alle sinstre, tante, troppe, soprattutto inutili. Hanno una sola funzione garantire la sopravvivenza di un ceto politico che si autodefinisce di sinistra. Pur in presenza di una offerta così vasta possiamo ricondurle sostanzialmente a due gruppi. Il primo è composto da un ceto politico di nostalgici che vive ancora della memoria del Compromesso Storico, del mito di Enrico Berlinguer e della sinistra “responsabile”. A questo gruppo vorrei solo ricordare che l’Austerità di Berlinguer non è altra cosa dall’ordoliberismo teutonico. Quell’Austerità aveva solo una funzione e cioè convincere il Capitalismo che il PCI fosse in grado di essere classe dirigente funzionale al Capitalismo. Il senso profondo di quelle politiche economiche e gli effetti che hanno prodotto sulla Società italiana sono ben chiariti dagli economisti Barba e Pivetti nel loro saggio “Il tradimento della Sinistra”. L’altra Sinistra è quella mainstream e post-moderna che trae origine direttamente dalla contestazione studentesca del ’68. Con il trionfo del “pensiero debole” – tanto debole da non riuscire più a comunicare alcun pensiero strutturato – siamo in presenza del vuoto, del nulla. Per ragionare sul primo aspetto della questione bisogna far riferimento al rapporto della Commissione Trilaterale, al Piano Condor in America Latina e ai limiti della cultura politica della sinistra italiana, leggasi PCI, intrisa di cultura liberale. Per Napolitano, ad esempio, definirsi Liberale non è stato poi così difficile. Per tradizione familiare e culturale è stato sempre un liberale e un ordoliberista. Per capirlo è sufficiente leggere i documenti che ha prodotto quando era responsabile economico del PCI. Il PCI a partire da quegli anni è stato alla continua ricerca della legittimazione politica da parte del Capitalismo. Quando crolla l’URSS e con essa il Comunismo, il ceto politico del PCI, ancor prima che lo dicesse Fukuyama, prende atto che la Storia è finita. L’unico problema che ha è quello di salvare se stesso come ceto politico. Da qui l’adesione tout court e fideistica al modello del capitalismo finanziario, dell’idea di Europa, dell’abbattimento dello Stato-Nazione, del mercato, delle politiche di moderazione salariale, della modifica del diritto del lavoro (introducendo dosi massicce di flessibilità), della contrattazione decentrata, ed di altre cose che possono essere ben racchiuse nella frase di Bruno Trentin “Ora bisogna battersi per i sacrifici perché” la contropartita consisterà “nella possibilità offerta alla classe operaia di partecipare alla gestione dei suoi sacrifici” . Il ceto politico di sinistra ex PCI si presenta come il garante dell’attuazione del progetto liberal-liberista di von Hayeck. Storicamente questo è quanto è successo. Il PD non ne è altro che la perfetta realizzazione. Passiamo al secondo aspetto del problema, e cioè al gruppo di “sinistre” radicali o sarebbe più corretto dire radical chic. Tanto Pisapia quanto la Boldrini sono l’ideal tipo di questa sinistra; come lo sono anche Fratoianni e Civati se pur in modo diverso. Questa sinistra trae origine direttamente dal movimento del ‘68. La continuità e la funzionalità tra la destrutturazione rappresentata dalla post-modernità e il trionfo del capitalismo neoliberista è messo bene in evidenza dallo studio di Boltansky e Chiapello (“Il nuovo spirito del Capitalismo”) e da quanto scrivono in altri studi David Harvey e la stessa Nancy Fraser o Luigi Cavallaro, solo per citarne alcuni. Anche questa sinistra, pur speculare alla prima, ha assecondato il neoliberismo favorendo politiche che hanno portato a barattare i Diritti Sociali con i quelli Civili. La contestazione del ’68, in nome della destrutturazione della società a favore dell’esaltazione della libertà individuale, fa il paio con Hayeck, Friedman e Kalergi. L’abbattimento dello Stato con la riduzione dei suoi scopi e delle sue funzioni nelle accezioni di Nozick e più in generale della filosofia politica Libertarian americana, sono funzionali al trionfo del mercato, della privatizzazione dei servizi sociali, alla crescente disuguaglianza, alla restaurazione dei rapporti di classe. Francis Fukuyama, in un’intervista di qualche mese fa rilasciata al settimanale Left, nella quale l’intervistatore chiedeva un parere sulla Sinistra, ha evidenziato come uno dei grandi limiti della Sinistra è l’aver barattato i diritti sociali con quelli civili. Aggiunge, inoltre, che di fronte a problemi di ingiustizia sociale, crescente diseguaglianza, impoverimento di masse sempre più vaste di società, di svilimento della Democrazia la Storia non è affatto finita. Il prodotto della cultura neoliberista, o come scrive la Fraser, della combinazione del Progressismo con il Neoliberismo negli USA, vista l’alternativa rappresentata dalla Clinton, ha prodotto Trump, in Italia non escludo che possa produrre il trionfo della Lega o di un’aggregazione politica simile. Il quadro rappresentato dalle “Sinistre” è drammatico. Le classi sociali che tradizionalmente votavano sinistra si rivolgono ad altro. Negarlo è da sciocchi. Solo ceti politici autoreferenziali e culturalmente dogmatici possono pensare che sia il popolo a sbagliare. Diventa difficile spiegare al 40% dei giovani disoccupati italiani e ai loro genitori come lo Stato italiano in tre anni spende oltre 13 miliardi al netto delle risorse UE per accogliere immigrati e che per loro non c’è nulla. Diventa difficile spiegare a 12 milioni di italiani che rinunciano a curarsi come le priorità sono lo Jus Soli e l’”utero in affitto”. E’ populismo? Forse! Per i ceti delle Sinistre è solo il popolo a non aver capito la linea politica. Per dirla con Brecht: “Meglio cambiare Popolo!”

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