La querela per diffamazione è diventata una moda!

di Francesco Scolamiero. La Corte di Cassazione ha reso definitiva la condanna per diffamazione di Sallusti, in qualità di direttore responsabile di Libero. La diffamazione era verso un magistrato che si era occupato dell’autorizzazione all’aborto di una minorenne. Fatto molto complicato che l’autore dell’articolo ha trattato con molta superficialità, tra l’altro firmandolo a suo tempo con uno pseudonimo, e che oggi dichiara di aver sbagliato. Strano personaggio questo ‘giornalista’. Non entro nel merito della vicenda, qui mi preme sottolineare due aspetti, uno riguardo la sentenza di condanna, molto strana, siamo passati da una semplice multa in primo grado a quasi due anni di reclusione in secondo grado, in parte confermati in Cassazione, senza la concessione delle attenuanti generiche, né la sospensione della pena con la condizionale, fatto stranissimo per una persona incensurata e per responsabilità oggettiva non diretta. L’altro aspetto invece che voglio sottolineare è una parte dell’articolo che ha fatto partire la denuncia, ovvero il punto in cui il giornalista si augura, cito testualmente, “Se ci fosse la pena di morte, se mai fosse applicabile, questo sarebbe il caso. Al padre, alla madre, al dottore e al giudice”. Ecco il giornalista ha preso una cantonata colossale, ma mettiamo invece che avesse avuto ragione, era quello il tono da usare? Mi ricollego a questo perché oramai anche la querela per diffamazione è diventata una moda, al pari delle primarie. Un altro caso si è scatenato in questi giorni, la denuncia dello scrittore Carofiglio nei confronti di Vincenzo Ostuni, editor di Ponte Alle Grazie e del romanzo di Emanuele Trevi arrivato secondo allo Strega. L’editor che ha definito il romanzo di Gianrico Carofiglio, arrivato terzo allo Strega, “un libro ‘Il silenzio dell’onda’ letterariamente inesistente, scritto con i piedi da uno scribacchino mestierante, senza un’idea, senza un’ombra di ‘responsabilità dello stile’, per dirla con Barthes”. Successivamente Ostuni ha postato su Facebook (lì dove tutto è iniziato) un commento dove difende le sue maniere ‘non borghesi’ ma al tempo stesso scrive: “Non ho dato il meglio, e se tornassi indietro direi quelle cose diversamente”. Ecco, secondo me, in entrambi i casi quello che manca è l’educazione. Nessuno nega il diritto di critica, il diritto di cronaca, ma non per questo si è autorizzati a essere maleducati, a usare certi toni. Purtroppo questo è lo stile di molti giornalisti, uno su tutti è Travaglio, a me per esempio non piace quel suo utilizzo di soprannomi, storpiamenti, doppisensi ecc., imitato, male tra l’altro, da molti altri commentatori. Ho sempre letto e ascoltato Montanelli, a cui il giornalista torinese fa sempre riferimento, e non mi pare che usasse questa tecnica. Peggio poi quando tale approccio lo utilizzano comici, attori o cantanti (vogliamo ricordare il Celentano di Sanremo), uno perché creano confusione e quindi il confine fra satira e politica va a farsi benedire, con danno per i cittadini, secondo perché è inutile strillare ai quattro venti il decadimento della nostra società quando loro stessi partecipano al banchetto come protagonisti.

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