La paura che blocca i partiti.

di Carlo Fusi. Il sibilo di insofferenza è di quelli impossibili da tenere a freno e infatti il deputato Pdl – uno che qualche giorno fa si è visto a quattr’occhi con Silvio Berlusconi a palazzo Grazioli – a trattenersi non ci pensa proprio: «Quanto dura Monti non lo so, il problema sono i danni che riuscirà a fare da qui al 2013». Sbotto per nulla temperato e solo apparentemente contraddittorio con lo scenario a breve: «Alle amministrative per noi sarà una sconfitta annunciata. Le proporzioni? Vaste. Cosa cambierà dopo? Temo nulla». Bene, e allora? Allora il fatto è che sentimenti simili albergano anche nei dirimpettai del Pd e anche qui lo sforzo per sedarli è corposo. Così, mentre il premier assicura che nell’ultimo vertice ABC è stato siglato «un nuovo patto politico» tra palazzo Chigi ed i tre partiti della maggioranza, la realtà è che tensioni e veleni tracimano, con l’appuntamento delle Amministrative che sempre più assomiglia ad un redde rationem il cui sbocco, tuttavia (ed è questo il paradosso) resta avvolto nelle nebbie. All’origine di tutto c’è la paura. Ovviamente dei partiti; più o meno tutti. Paura di vedersi non solo sconfessati ma addirittura ridimensionati fino all’annullamento o giù di lì, insomma spazzati via non da Beppe Grillo, fantasma allo stato più mediatico che reale, bensì da quella che i politologi che amano darsi un tono chiamano la costituency: la loro base elettorale, lo zoccolo duro diventato più friabile che mai. Ma allora è vero che Monti è arrivato al capolinea, che dopo l’estate se ne torna alla Bocconi o si ristabilisce in Europa? Chissà. Il punto vero – che per il premier può diventare quello di forza – è che l’orizzonte politico italiano è contraddistinto da due vuoti. Il primo riguarda il centro-destra, ed è un vuoto di rappresentanza. Bossi è travolto dagli scandali, il quadro di comando della Lega è sconvolto, i militanti sono attoniti, gli elettori in fuga. Berlusconi è stato sfrattato da Palazzo Chigi, la lotta tra fazioni interne al Pdl è parossistica, Alfano è come Penelope a rovescio: di sera si incontra con gli altri leader per definire uno straccio di road map; la mattina una buona metà del suo partito si ingegna di farla a pezzi. Il centro-destra manca di leadership e di progetto. Anche a sinistra le cose non marciano. Quelli del Terzo Polo sono convinti che i Democratici vogliano andare il più presto possibile alle urne per capitalizzare il vantaggio che ancora hanno. Prima vinciamo le elezioni e poi costringeremo Casini e co. a venire a patti con noi, anche per sterilizzare le velleità di Vendola e Di Pietro, è il mantra che il triumvirato Casini-Fini-Rutelli recita addossandolo a Bersani. Vero o falso che sia, c’è un problema non da poco. E si chiama presidente del Consiglio (e in subordine nuovo capo dello Stato). Chi lo fa? Il Terzo Polo potrebbe sì marciare sottobraccio al Pd nella prossima legislatura, a patto però che il premier resti Mario Monti. Assai più difficilmente – eufemismo per dire che è impossibile – potrebbe accettare di genuflettersi a Bersani premier. Dunque il vuoto nel centro-sinistra è di praticabilità. Del resto può Pier Luigi sbattersi per vincere nelle urne e poi consegnare lo scettro del governo ad un altro? Impossibile anche questo. Ma due impossibilità fanno un blocco. La partita politica italiana è tutta qui. Chi per primo riempie il rispettivo vuoto, vince e si prende il piatto. Già, ma chi?

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