La mutazione democristiana del Movimento Cinque Stelle.

di Alessandro Rico. Nel suo lunghissimo post su Facebook, Luigi Di Maio ha provato a spiegare perché sul Mes non farà saltare il banco del governo. Anche se il premier Giuseppe Conte, sostenendo che i suoi due ex vice erano al corrente di tutti i passaggi della negoziazione con l’Ue, praticamente gli ha dato del bugiardo o dell’incompetente.

A ben vedere, il messaggio del ministro degli Esteri è denso di bizantinismi. Come se Di Maio fosse posseduto dallo spirito di un suo conterraneo: Ciriaco De Mita. Alla fine non si capisce se il Mes va o non va riformato, in che modo, se ha ragione Conte a dire che tutti i ministri sapevano, o se l’avvocato del popolo ha mentito al popolo. Incredibile come il linguaggio del partito anti casta, nell’arco di pochi anni, sia ormai intriso di formule politichesi.

D’altra parte, la democristianizzazione dei grillini è un fenomeno che si trascina da un po’. Un tempo c’erano il Parlamento da aprire come una scatoletta di tonno, la regola dei due mandati… Adesso neppure più questa è indiscutibile. C’erano ministri, come Danilo Toninelli, che avevano dichiarato guerra ai concessionari delle autostrade. Com’è finita? I Toto (gestori di A24 e A25) dovevano perdere tutto e invece l’ex titolare delle Infrastrutture ha prolungato di dieci anni la loro concessione e ha sottoscritto il Piano economico e finanziario da 3 miliardi della società, impegnandone 2 delle casse pubbliche. I raid contro i Benetton s’erano diradati quando sembrava che Atlantia potesse salvare Alitalia. Poi la cordata è saltata, in Liguria ha ricominciato a piovere e i grillini (senza Toninelli, stavolta) hanno rilanciato la crociata contro i concessionari.

Ma l’emblema della metamorfosi pentastellata è forse la vicenda della casa di Elisabetta Trenta, che l’ex ministra della Difesa ha mollato solo dopo lo scandalo mediatico. Dalla lotta alla casta alla lotta per la casa. Se non puoi batterli, unisciti a loro. È la retorica stessa di Di Maio a tradire la svolta scudocrociata del Movimento (che aspira al proporzionale, come nella gloriosa prima Repubblica): la forza del M5s è essere «l’ago della bilancia». Una cosa che non è nemmeno da Dc bifronte, prima perno del centro e poi del centrosinistra. Una roba che ricorda più i Clemente Mastella, i Pierferdinando Casini, i Marco Follini. Accontentarsi del declino dei consensi, consapevoli che comunque si fa ghiotto ai potenziali alleati. Il capo della Farnesina lo chiama «essere postideologici». Ai maligni sembra un «vendersi al miglior offerente».

E chi si ricorda di Marcello De Vito? Il presidente dell’Assemblea capitolina, che era finito ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sul nuovo stadio della Roma, doveva essere espulso dal Movimento in «30 secondi» (parole sempre di Di Maio). I probiviri del M5s non hanno mai ratificato la decisione. Così De Vito, una volta libero, non solo è rientrato nel partito, ma è tornato a sedersi sul suo scranno in consiglio comunale. Per carità: tutti innocenti fino a prova contraria. Onestà, onestà.

Luigino: tanto casino, per ridursi a fare il De Mita su Facebook. Almeno, un Dc di razza come Giulio Andreotti, avrebbe saputo dire le stesse cose con molte meno parole: «La situazione era un po’ più complessa…».

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