La morte della sinistra. La gente vota col cuore e col culo.

di Vittorio Feltri. Anche io in un passato remoto sono stato di sinistra. All’inizio degli anni Sessanta ero socialista, prima nenniano, poi lombardiano.
Mi sentivo sostenuto da ideali genericamente progressisti e forse collettivistici.
Pensavo che il mondo dovesse adottare, anche in campo economico, criteri egualitaristi e che i lavoratori meritassero la stessa dignità, anche retributiva, degli imprenditori.
Poi arrivò il Sessantotto e mi accorsi che i rivoluzionari erano ubriachi di parole: portavano avanti il discorso, dicevano che i problemi non sono a valle, bensì a monte, un sacco di scemenze spacciate per spiegazioni intelligenti della realtà.
Stracciai la tessera del Sol dell’avvenire e divenni conservatore in un Paese in cui non c’è nulla da conservare. Sono trascorsi decenni durante i quali ne ho viste di ogni colore.
Berlinguer predicava l’eurocomunismo e il compromesso storico senza raccontare cosa cavolo fossero. Passava per un genio ma a me sembrava solo un chiacchierone inconcludente. Quando morì, grazie all’ondata emotiva, il PCI vinse le elezioni europee. La gente vota col cuore e col culo. Tanto è che in seguito i consensi comunisti scesero e andarono a pallino.
A cadavere inumato, la “falce e martello” scadde da ideologia a utensile, quale è ancora (per altro in disuso). Il declino della sinistra era inarrestabile. E proseguì fino ai nostri giorni. Infatti, il postcomunismo, per vincere le elezioni nel 1996, dovette rivolgersi a Romano Prodi, cioè affidarsi alla guida di un vecchio e consumato democristiano. In proprio, i signorini rossi, non avrebbero combinato nulla.
Questo dato tuttavia non ha convinto i compagni a cambiare musica. Sono andati avanti a cantare lo stesso ritornello pseudomarxista per un ventennio, annoiando e deludendo la base, più evoluta del vertice.
L’arrivo di Matteo Renzi avrebbe potuto essere l’occasione per trasformare le vecchie Botteghe Oscure in un negozio chiaro e luminoso. Non è stata sfruttata, anzi, nella lotta intestina per afferrare il potere, hanno prevalso i fossili, coloro che erano legati inconsapevolmente al sovietismo. I quali hanno decapitato il giovin fiorentino, sfasciando il partito e riducendolo a un movimento residuale, da chiudere nella bacheca di un museo.
Le consultazioni del 4 marzo scorso hanno decretato ufficialmente la fine di un’epoca. Da notare che la morte della sinistra è giunta in ritardo rispetto al giudizio irrevocabile della storia.
Ernesto Galli della Loggia, grande commentatore, ha esaminato la questione e ha scritto cose condivisibili appieno, eppure si è dimenticato di dire che i progressisti italiani sono irrecuperabili perché rincoglioniti dai loro precedenti di cui non sanno liberarsi. Non solo, sono riusciti a farsi ingabbiare dalle menate del buonismo cattolico e dal politicamente corretto che hanno banalizzato la loro politica desueta, abbassandola al rango di lagna da chierichetti.
In pratica il Pd è diventato un club di reduci comunisti restii ad evolversi: sono nostalgici che guardano sempre indietro e mai davanti, cosicché non prendono coscienza dello status quo. Saranno destinati ad essere sepolti nel ridicolo. Pace all’anima loro, e che non rompessero la nostra.

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