La grande alleanza tra Stato, ricchezza nazionale e corpi intermedi per preparare l’Italia del dopo virus.

di Paolo Cirino Pomicino. Le luci che brillano dai balconi nelle grandi città alle 21 in punto, l’inno di Mameli cantato insieme ad altre canzoni sempre dai balconi alle 18 e gli applausi ai medici ed agli infermieri alle 12 testimoniano un sentire comune fatto di paura, di gratitudine e di speranze che in un solo giorno spazza via quell’odio seminato a piene mani negli ultimi 25 anni da un sistema politico inadeguato.

Improvvisamente le società urbane sembrano riscoprire quel senso del vicinato che legava larga parte dei condomini dell’Italia degli anni ‘50 e che insieme, ora, si accorgono che il mondo è davvero piccolo. Forse troppo piccolo per continuare ad ignorare che tutto ciò che si fa sul terreno dello sviluppo, dell’ambiente, della salute e di tante altre cose in una parte del pianeta produce effetti in un’altra parte del mondo che sembrava lontanissima da casa nostra.

In queste settimane tutti si accorgono che da tempo il mondo è disciplinato dal principio dei vasi comunicanti con continui effetti domino sulle cose che più ci stanno a cuore, la salute, l’ambiente, l’economia, il clima, e finanche la ricchezza e la povertà.

Se 46 persone nel mondo hanno la stessa ricchezza di 3,8 miliardi di persone come ci dicono le statistiche internazionali è segno che qualcosa è sfuggito di mano. Se da almeno 25 anni impazza un pensiero unico secondo il quale il mercato è il migliore distributore di ricchezza e se queste drammatiche disuguaglianze inesistenti sino alla fine degli anni 80 oggi danno il profilo del mondo cosiddetto moderno è segno che quella miscela di interessi economici consolidatisi nell’intreccio finanza-informazione ha prodotto distorsioni imponenti che oggi sono travolti da piccolissimi organismi proteici che non hanno neanche la dignità di essere una cellula.

Cadono le borse, i ricchi perdono un po’ della propria ricchezza mentre i poveri diventano ancora più poveri ed il vecchio ceto medio che resta sempre l’architrave delle società nazionali si impoverisce avvicinandosi pericolosamente al baratro delle povertà di ritorno.

La recessione delle economie mondiali avanza a passo veloce e all’orizzonte si scorgono nubi di licenziamenti di massa e quelle che sino ad ieri sembravano altezzose certezze traballano pericolosamente alimentando paure ma anche speranze. Speranze in un cambiamento di fondo dell’economia  e del costume in cui possono riprendere il proprio posto valori più veri e più stabili incardinati tutti in un solo pensiero quello per cui la felicità e la serenità di alcuni non possono essere realizzate al prezzo di una povertà assoluta di masse crescenti.

Questo bilanciamento era il profilo tradizionale e, se volete, borghese, del ceto medio che puntava alla inclusione e non a ricchezze elitarie che pure esistevano ma per quel tanto che non intaccava l’equilibrio sociale sino alla fine degli anni ‘80.

Il liberismo selvaggio degli ultimi 25 anni, il capitalismo finanziario che resta il nemico di fondo della economia di mercato, la deregolamentazione dei mercati finanziari e le plusvalenze da capogiro dei loro prodotti hanno mutato il mondo alimentando disuguaglianze sempre più intollerabili che stanno mettendo a rischio il futuro delle democrazie parlamentari e liberali dell’intero Occidente.

Non è un caso che mentre Trump e i populisti europei si raccolgono sotto lo scudo lessicale “American first” il modello che comincia a sedurre è quello cinese o più in generale quello dell’oriente del pianeta in cui sembrano convivere in maniera “tranquilla” economia di mercato e autoritarismo politico. Un altro abbaglio frutto della inadeguatezza della politica occidentale dalla caduta del muro di Berlino in poi.

L’Italia è il paese in cui quegli interessi intrecciati tra finanza ed informazione hanno preso di più il sopravvento ed oggi i simulacri di quelli che furono i partiti del novecento restano subalterni ai titoli dei giornali che pur nella loro decadenza di vendite dettano l’agenda politica e suggeriscono addirittura giudizi e comportamenti alle più alte cariche di governo e finanche a pezzi significativi della magistratura inquirente. Ebbene questo intreccio che ha portato l’Italia a quello stato di cose in cui si trovava il paese prima dello tsunami del coronavirus rischia di essere tranciato senza che nel contempo si sia formato un nuovo equilibrio sociale, economico e politico.

Di qui allora l’esigenza immediata di puntare ad una nuova alleanza democratica tra Stato, ricchezza nazionale e corpi intermedi. Una alleanza capace di impedire che le grandi risorse finanziarie occorrenti nel dopo-pandemia spingano l’Italia ad un nuovo imponente indebitamento che aiuterebbe, si, il paese nel brevissimo periodo ma lo spingerebbero poi verso un futuro di subalternità trasformandolo in una comunità di consumatori e di produttori per conto terzi. Insomma una vera e propria colonia subalterna da un lato ai grandi imperialismi che stanno risorgendo, da quello americano a quello cinese e finanche al sogno ottomano (Libia docet) e dall’altro ai paesi europei più forti, dentro e fuori dell’Unione.

Un alleanza condivisa tra Stato e ricchezza nazionale capace di mettere insieme grandi risorse pubbliche e private in grado di togliere l’Italia dal signoraggio del debito pubblico rilanciando una economia che non cresce da 25 anni resta l’unica vera strada da percorrere.

Insomma l’indebitamento nuovo deve essere complementare a risorse pubbliche proprie per garantire un nuovo sviluppo virtuoso e sostenibile. La ricchezza nazionale deve sapere che se concorre a salvare il paese senza intaccare la sua sovranità nazionale ed il suo ruolo europeo, salverà anche se stessa mentre lo Stato non potrà che corrispondere in maniera positiva sul piano normativo e fiscale ai bisogni delle imprese e dei contribuenti che si facciano carico volontariamente di uno sforzo comune.

Un’alleanza senza imposizioni ma condivisa perché è in gioco il futuro della patria comune. Un lavoro difficile innanzitutto perché abbiamo un sistema parlamentare  privo di culture politiche e di identità profonde e quindi in difficoltà nell’aiutare questo processo di ricomposizione degli interessi per costruire un nuovo orizzonte ma pur sempre un lavoro possibile grazie anche all’aiuto di quella moral suasion di un democristiano autorevole che risiede nel più alto colle e che ha nel suo dna quella cultura della ricomposizione che ricostruì l’Italia repubblicana dopo le macerie della seconda guerra mondiale.

Sembra strano questo nostro discorso nel mentre medici ed infermieri sono in trincea ed in affanno e le famiglie italiane chiuse in casa ancora per alcune settimane. Noi dobbiamo stringerci oggi intorno al governo in carica ed ai suoi provvedimenti trasformando le eventuali critiche in suggerimenti positivi perché si esca rapidamente vittoriosi dalla cruenta battaglia contro questo sconosciuto ed invisibile nemico.

Ricordiamo, però, a noi stessi ed a tutti che nel luglio del 1944, cioè un mese dopo lo sbarco in Normandia, i paesi occidentali ed alleati (l’Italia era compresa perché belligerante insieme dopo l’8 settembre del ‘43) si riunirono nella cittadina americana di Bretton Woods e definirono un nuovo ordine monetario fondamentale per ricostruire tutto ciò che la guerra aveva distrutto.

Noi vinceremo la battaglia contro il coronavirus anche se soffriremo ancora lasciando per strada tanti fratelli, ma il paese sarà alla fine stressato economicamente e socialmente anche se manterrà, ne siamo certi, uno spirito gagliardo. Sin da ora, però, si dovrà lavorare con umiltà e tenacia per trovare un gruppo di personalità politiche culturali ed economiche in grado di favorire questa grande alleanza per ridisegnare insieme al governo e al parlamento un nuovo orizzonte per giungere ad un nuovo e prospero approdo anche perché, ne siamo tutti certi, che dopo questa lunga battaglia niente sarà più come prima.

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