La forca in piazza.

di Clemente Luciano. La strage della funivia Stresa-Mottarone nella quale hanno perso la vita 14 persone, è stato un fatto che ha colpito profondamente tutto il Paese e che ha lasciato attonita e sgomenta l’intera comunità nazionale. Ma dopo quel primo sentimento, dopo la partecipazione collettiva al dolore delle famiglie, immancabile è scattato un altro sentimento: la rabbiosa ricerca dei colpevoli, una collettiva furia iconoclasta, una ancestrale voglia di linciaggio, ormai purtroppo ben radicata in una gran parte della popolazione italiana e di molta stampa di destra e di sinistra.

Bastava dare un’occhiata ai giornali.Titoli a tutta pagina,più o meno identici,costruiti su 3 parole:“Avidi,criminali,colpevoli”.Le tre persone arrestate su ordine del magistrato,venivano indicate,senza nessun bisogno di processo,come colpevoli,spietati sciacalli,avidi assassini,da punire senza tante discussioni,con pene severissime.

Ma quello che più lascia allibiti è che la severità della pena veniva invocata  non da voce di popolo,ma da dichiarazioni ufficiali del Pubblico ministero,Olimpia Bossi.La quale,con incredibile disinvoltura,anticipava ogni fase processuale:l’inchiesta,il dibattimento,il processo,l’appello,l’eventuale Cassazione,stabilendo lei,a priori,la gravità delle pena.Senza parlare del suo profluvio di dichiarazioni,rese davanti le luci delle telecamere e la marea di microfoni che le paravano innanzi.In spregio aperto di tutte le disposizioni del Ministro,del P.G. della Cassazione,e delle direttive europee sulla presunzione di innocenza.

Così il principio che tutti hanno diritto a un processo e che gli indiziati e gli imputati non possono essere ritenuti colpevoli,fa presto a scomparire.Insomma,tra opinione pubblica,stampa e magistratura,è stata una terribile gara a chi riusciva a innalzare più in alto possibile la gogna e la forca.Una gara,un’orgia brutale e sanguinaria di cui si nutre un’opinione pubblica compatta,in questo generale desiderio di linciaggio.

Perchè il linciaggio è esattamente questo.È la giustizia che si esprime attraverso la violenza popolare e di massa.E’ facile essere garantisti verso un ladro di mele.O anche,verso un politico.Quando invece si è in presenza di un reato molto grave,come un delitto di mafia,ma anche come quello della funivia,ogni garantismo sparisce e ti senti dire:”Ma hai visto che infamia hanno fatto?A che serve un processo?”.

E invece il garantismo è proprio questo.Tanto più grave è il reato,tante più garanzie vanno assicurate all’imputato.Anche se l’imputato si chiama Totò Riina o Giovanni Brusca.Purtroppo,in Italia,sempre più spesso,questo non succede.Stavolta lo spettacolo è stato davvero impressionante.Si è avuta la sensazione che chiunque non mostrasse orrore e schifo per i tre arrestati non poteva che essere complice del misfatto del Mottarone.

Ma hanno diritto oppure no,i 3 imputati,a essere processati con umanità e in osservanza della legge e non degli anatemi?Sembra quasi che in questi casi la sentenza debba essere morale e non giuridica.Una sorta di applicazione del codice della Sharia,non delle regole del diritto.Se fossimo in un Paese normale,invece,dovremmo chiederci se è normale che una inchiesta sia diretta da un Pm che ha già deciso che la pena deve essere,non può che essere severissima?

Eppure anche qui,come a Berlino,un giudice sembra esserci,e sta a Verbania.Si chiama Donatella Banci Buonamici e di mestiere fa il GIP(giudice delle indagini preliminari)anche se adesso anche lei sembra essere diventata complice dei presunti colpevoli e fatta oggetto di minaccia dai soliti leoni da tastiera.La Banci,invece,facendo “semplicemente” il suo mestiere,si è letta le carte, ha sentito i tre sospettati,e ne ha messo uno ai domiciliari e rilasciato gli altri due.

Alla faccia dei tanti garantisti da talk show.Questa GIP,invece,rappresenta un caso concreto di rispetto della presunzione di non colpevolezza.La Banci non ha deciso che i tre sono innocenti:ha semplicemente ritenuto che l’Italia non è il Cile di Pinochet,e che non c’era alcun pericolo di fuga che giustificasse il fermo in carcere.Ha deciso,contro l’assatanato giustizialismo giornalistico e dell’opinione pubblica,che la pena non si paga preventivamente,ma dopo sentenza.E ha deciso che la chiamata in correità di un reo confesso deve essere supportata da fatti,da prove(quanto dovrebbe valere anche per i pentiti di mafia questo principio:il caso Tortora docet).

Insomma,abbiamo trovato un giudice a Verbania e invece sui giornali e sul web è diventata la complice dei colpevoli.Dopo un processo i tre potranno anche essere considerati colpevoli.Ma la gente(e certa stampa)vuole qui e subito un colpevole,da processare in piazza o sulle prime pagine dei giornali.E questo la dice lunga sullo stato di barbarie giuridica e civile cui è giunto questo sciagurato Paese.

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