La fine della IIª Repubblica e della cultura politica della Resistenza.

di Gerardo Lisco. Il risultato elettorale del 4 marzo non segna solo la fine della IIª Repubblica ma il superamento delle culture politiche che hanno contribuito alla Resistenza e alla nascita dello Stato Repubblicano.
A differenza di quanto è successo con la fine della “Repubblica dei Partiti”, quando, con l’Ulivo prima e più tardi con l’Unione, quelli che un tempo venivano definiti i “partiti dell’arco Costituzionale” sopravvissero sotto altri nomi pur mantenendo intatto il richiamo al patto costituzionale e ai valori della Resistenza in esso contenuti, oggi la Storia è completamente diversa.
All’indomani della fine della Iª Repubblica, la modifica degli equilibri internazionali e i processi di trasformazione dovuti alla Globalizzazione, fecero si che l’elettorato italiano si dividesse, all’incirca in due, con una parte che si riconosceva nei valori tradizionali rappresentati dai partiti della Costituente e un’altra parte che si schierava a favore di soggetti politici quali: Forza Italia, Lega e Alleanza Nazionale. Il confronto politico in quel frangente non riguardò solo la contrapposizione tra politiche alternativa ma anche la diversa visione culturale posta alla base del Patto Costituzionale. L’avversario da sconfiggere non era solo l’Ulivo o l’Unione, era lo Stato Repubblicano e i valori nati dalla Resistenza.
Forza Italia, Lega e Alleanza Nazionale erano forze politiche antisistema. La Società italiana degli anni 90 era ancora fortemente radicata a quei valori; da qui le vittorie del centrosinistra ed anche la stessa trasformazione dei partiti di centrodestra i quali, progressivamente, hanno modificato la loro fisionomia. L’esempio più eclatante è la Lega di Salvini diventata da partito localista una formazione politica a carattere nazionale.
Dagli anni 90 ad oggi la Società italiana è cambiata in modo impressionante. Il risultato elettorale del 4 marzo ci consegna la fine definitiva dei partiti e delle culture politiche che nel loro Dna avevano il richiamo alla cultura politica della Resistenza.
A parte Liberi e Uguali che ha continuato ad invocare per tutta la campagna elettorale il centrosinistra sperando di resuscitare i fasti de l’Ulivo, nessuna altra formazione politica, implicitamente o esplicitamente, ha fatto riferimento a quelle culture politiche, neanche il PD di Renzi. Molti hanno pensato di individuare in esso la vecchia DC; non so quanto fossero consapevoli della distanza abissale tra il PD e il Codice di Camaldoli documento guida per la politica economica della “balena bianca”. Per quanto riguarda le altre formazioni politiche Forza Italia è molto simile al PD sia per fisionomia politica che per gli elettorati di riferimento. Dai flussi elettorali con molti elettori del PD in fuga verso il M5S questa assonanza è diventata ancora più forte.
La Lega di Salvini uscita fuori dall’aspetto strettamente Padano diventato un partito a valenza nazionale con chiari richiami alla proposta politica di Trump. Ossia liberista nazionale. Lo stesso “Fratelli d’Italia” si richiama ad una cultura politica precedente a quella della nascita dello Stato Repubblicano.
Il M5S si presenta, intanto, come una sorta di lista civica nazionale, come tutte le liste civiche non può essere ricondotta ne alle tradizionali categorie politiche destra/sinistra e nemmeno alle culture politiche rappresentate dai partiti del Patto Costituente. Il M5S si presenta come un mix che tiene insieme, almeno stando alla presentazione dei ministri economici e dello stesso programma elettorale, istanze di sinistra sul piano delle politiche economiche e istanze che rinviano alla libertà di coscienza per ciò che attiene alla materia dei diritti individuali borghesi.
Penso che sia proprio questa capacità di tenere insieme i due temi ad aver fatto crescere il consenso del M5S, così come tutta una serie di altre ragioni che vanno dalla protesta tout court al sistema, alle istanze meridionaliste emerse in modo forte, visto che la percentuale di consensi al Sud sfiora il 50%.

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